Lettere in redazione

Pena di morte, un atto di barbarie

Caro Direttore,su una sedia a rotelle, cieco e sordo, a 76 anni, Clarence Ray Allen è andato a morte nel carcere di San Quintino con una iniezione letale. Questa è la stringata cronaca di un atto di barbarie, non avvenuto nella foresta dei tagliatori di teste, ma in un grande paese civile, come gli Stati Uniti. Chi ha orecchie da intendere, intenda.Giacomo LongiArdenza (Livorno) Ogni volta che i giornali danno notizia di una esecuzione capitale, come quella a cui lei, caro prof. Longi, fa riferimento siamo per così dire costretti – ed è positivo – a prendere posizione.L’Associazione «Nessuno tocchi Caino», ci offre alcuni dati ufficiali che si riferiscono al 2004. I paesi che mantengono la pena di morte sono 58 – erano 61 nel 2003 e 64 nel 2002 – e le esecuzioni sono state 5.530. Il triste primato spetta alla Cina con ben 5.000 esecuzioni – e di queste si parla veramente troppo poco – seguita dall’Iran 197, dal Vietnam 82 e dagli Stati Uniti 59.Sono numeri che colpiscono, anche se si registra sia una diminuzione di esecuzioni rispetto al 2003 (furono 5.611) e soprattutto in alcuni Paesi – certamente in quelli in cui l’opinione pubblica può liberamente esprimersi – cresce la contrarietà o per lo meno la perplessità su questo tipo di pena. È significativo l’ultimo sondaggio Gallup (maggio 2004) che si riferisce agli Stati Uniti: il 50% degli americani è ancora favorevole, ma i contrari sono il 46%, mentre nel 1997 erano il 32%. Ma al di là dei numeri, è opportuna una riflessione, seria e pacata, sulla pena di morte in sè, perché anche nel nostro Paese di fronte a delitti di particolare efferatezza e ad una criminalità sempre più spavalda si invocano spesso sanzioni sempre più severe fino alla pena estrema che è la morte. Queste giuste richieste di sicurezza che vanno accolte, soprattutto con norme che garantiscono la certezza della pena, devono però sempre sottostare a dei principi che uno Stato, a nostro giudizio, non può valicare, anche quando punisce. Il primo è certamente il valore assoluto che assume fin dal concepimento ogni vita umana che deve sempre e comunque essere rispettata, anche in chi questo rispetto non lo merita. Può sembrare un limite, che segna però la civiltà di un popolo. La pena di morte inoltre nega all’uomo ogni possibilità di riscatto e così ogni esecuzione capitale inchioda definitivamente al male commesso in un giudizio definitivo, senza appello. Oggi inoltre gli organi dello Stato – se lo vogliono, certo, perché un certo lassismo è indubbiamente diffuso – hanno a disposizione mezzi sempre più idonei per prevenire e punire i crimini. Proprio per tutti questi motivi il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica al can. 469 afferma che «i casi di assoluta necessità di pena di morte sono ormai molto rari, se non addirittura inesistenti».Tutto questo lo diciamo senza mai dimenticare le vittime e i loro familiari che spesso sono messi un po’ in disparte, quasi fossero d’inciampo, mentre è la pietà verso di loro che ci rende credibili quando sosteniamo che non ci è lecito toccare Caino.