La pena di morte appare sempre di più strumento inaccettabile, prima ancora che inutile o dannoso. Lo ha ribadito l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, intervenendo oggi a Roma al III Congresso internazionale dei Ministri della Giustizia, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema: Dalla moratoria all’abolizione della pena capitale. L’arcivescovo Marchetto ha ricordato che la Chiesa cattolica guarda con estremo favore e con grande speranza alla mobilitazione internazionale contro la pena di morte, pur essendo al tempo stesso consapevole della complessità della cosa e della necessità di procedere con decisione ed anche gradualità, per giungere ad un simile traguardo. La moratoria universale delle esecuzioni, secondo mons. Marchetto, è stata una svolta radicale e un’occasione straordinariamente opportuna, offerta a tutti i governi, anche a quelli che manifestano difficoltà e resistenze all’eliminazione totale di questa pena senza appello e senza funzione di riabilitazione del condannato. A suo avviso si apre dunque una stagione di riflessione, di esame, di controllo sulle espressioni migliori della giustizia penale atta a garantire efficacemente ordine pubblico e sicurezza delle persone, e al tempo stesso sia più conforme alla dignità dell’uomo, anche del condannato. Secondo l’arcivescovo la moratoria è anche il primo passo necessario per quei Paesi che hanno bisogno di dotarsi di strumenti del diritto appropriati e di offrire radici più profonde, o anche inedite, a una cultura della vita, oggi più condivisa universalmente, nonostante continue minacce e derive violente. A proposito dell’Africa, che ha fatto dei passi in avanti nell’abolizione della pena di morte (negli ultimi 27 anni sono diventati 13 i Paesi africani abolizionisti, su 141 che nel mondo sono esenti dalla pena capitale) mons. Marchetto ha dichiarato la nostra comune responsabilità nel sostenere il movimento abolizionista: esso deve e può divenire una conquista stabile, oltre l’instabilità politica. Deve e può diventare una conquista permanente, in sinergia con altri attori dello scenario internazionale. Anche perché, ha precisato, come possiamo, da cristiani, accettare che sia negata all’uomo la speranza della redenzione? Un uomo e una donna che hanno sbagliato, che hanno commesso un crimine, per quanto efferato sia ha spiegato -, debbono avere la possibilità di essere perdonati, pur subendo una grave pena riparatrice, e vivere nella speranza. I cristiani, specialmente, non possono quindi non credere nella forza e nella grazia del pentimento, che trasforma il cuore e la vita. Essi sanno che il ravvedimento è una fonte di bene e di umanità che può contagiare e irradiarsi a tutti.Sir