Livorno

Pellegrini in Terra Santa

Ci è stato chiesto di scrivere un «reportage dalla Terra Santa», ma sono costretto a confessare la mia incapacità ad usare un certo tipo di linguaggio per quest’esperienza appena vissuta. Chi è andato dal 29 Agosto al 7 Settembre in Terra Santa, infatti, non è stato un gruppo di «turisti per caso» o di giornalisti curiosi e neppure un insieme di accademici attenti ad una lettura puramente critica della propria esperienza. Il 29 Agosto scorso è stata una Chiesa locale con il suo vescovo ad andare nei luoghi della terra del Signore. Don Piergiorgio Paolini, che ci ha accompagnato, prima di partire, ha cercato appunto di prepararci a quell’abitare la memoria che è proprio il senso di un pellegrinaggio che riporta dei fedeli in Cristo sui luoghi in cui si è compiuta la nostra redenzione e ci è stato rivelato il senso ultimo della nostra vita.Un viaggio come questo, vissuto in un clima di intensa preghiera, ha sicuramente suscitato notevoli stimoli e aperto nuovi orizzonti nel nostro cammino di fede. Primo fra tutti il senso di appartenenza ad una vita ecclesiale che non ci unisce solo nel momento storico presente, ma in un’interrotta continuità che si muove nel tempo. Questa piccola chiave di lettura ci ha aperto i portali di una comprensione e di un’esperienza esistenziale altrimenti impossibile. Lasciarsi trasportare da questo senso di comunione universale spazio-temporale ci ha portato a relazionarci con i diversi luoghi in cui siamo stati come luoghi della memoria; una memoria che diventa in ognuno memoria personale soltanto in quanto partecipa di una memoria più vasta che potremmo chiamare memoria collettiva.Possono sembrare parole astratte, ma in realtà è un esperienza che ognuno di noi ha fatto e raccontato negli incontri serali di condivisione. È stato bello percepire il legame e la continuazione di una tradizione secolare in luoghi che ci permettono, appunto, di abitare questa memoria collettiva di cui vive la Chiesa e non solamente collezionare nozioni a puro scopo informativo.Il pellegrinaggio, sull’itinerario del vangelo di Luca, è partito da Nazareth. I primi giorni siamo stati in Galilea, regione amena e rigogliosa e si può dire che fin da subito il nostro rapporto con la scrittura (in questo caso il vangelo di Luca) sia radicalmente cambiato. Don Paolini ci leggeva brani del vangelo sugli stessi luoghi in cui avvennero storicamente. Eventi che, sebbene lontani nel tempo, la nostra presenza fisica in quei luoghi ci ha reso vivi. Tutti ricordiamo con piacere il giorno che, stanchi e accaldati dalla visita di Cafarnao, sul lago di Tiberiade, ci siamo seduti in cerchio all’ombra di grandi alberi ascoltando la Parola di Dio e più tardi abbiamo celebrato l’eucaristia sul monte delle beatitudini con un paesaggio incantevole davanti ai nostri occhi. Le letture erano, ovviamente, sempre legate ai luoghi in cui ci trovavamo e questo ci rendeva possibile gustare ancora di più il «memoriale», evento di cui vive la Chiesa e che unisce in comunione tutte le genti nello spazio e nel tempo.Tutto questo ha avuto il suo punto massimo a Gerusalemme verso cui ci siamo diretti, come nel vangelo di Luca, dopo essere saliti sul Tabor e aver celebrato l’eucaristia proprio in cima al monte della trasfigurazione.

Abbiamo sentito fisicamente cosa significa salire più di 1000 m. di dislivello da Gerico a Gerusalemme, ma, giunti in questa città, santa per le tre grandi religioni monoteiste, la nostra attenzione era ormai duplice: al passato, reso presente dall’esperienza di abitazione della memoria e… al presente. Abbiamo percepito sensibilmente quanto sia faticosa la strada della pace. Il famoso muro dell’apartheid israeliana ci ha sbarrato la strada verso Betania costringendoci a scavalcare un muretto laterale e così hanno fatto, in direzione opposta, donne palestinesi che portavano pesantissime ceste di verdura da vendere al mercato. Ragazzi e ragazze col fucile in spalla ci camminavano accanto al cosiddetto muro del pianto.

Gerico che 4 anni fa era una città vivace è ormai una città fantasma con grandi alberghi deserti e case non finite di costruire per l’improvvisa interruzione del flusso di pellegrini e turisti che sta rendendo la vita impossibile anche a Bethlemme in cui circa l’80% della popolazione vive(va) di turismo.

A Bethlemme siamo rimasti impressionati di come il muro, non ancora terminato, ingabbi la città rendendola un vera e propria prigione.

La storia di Israele (il popolo eletto da Dio) è sempre stata una storia in cammino, un pellegrinaggio ed è questo che ci indica la terra di Gesù, in particolar modo Gerusalemme in cui ognuno sembra quasi sentire il bisogno di ritornare, quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me. La netta percezione avuta, anche grazie all’onnipresente croce cosmica della custodia di Terra Santa dei francescani, è proprio quella di una chiamata universale alla pace e all’unità, senza, tuttavia, perdere le proprie identità. Questo è il fine di tutta la storia dell’umanità e a cui ci conduce il sacrificio del vero agnello pasquale, quello di Cristo (non è certo un caso per chi ha fede l’impossibilità di sacrificare altri agnelli in un tempio che ormai non c’è più) e di cui, domenica 5 settembre, abbiamo fatto solennemente memoria nel Santo Sepolcro. La Santa Messa domenicale, con preconio pasquale e rinnovo delle promesse battesimali nel Santo Sepolcro (esperienza che ci ha fatto vivere più intensamente il santo mistero che dissipa l’odio e promuove la concordia e la pace), mentre copti e bizantini, sotto lo stesso tetto, lodavano l’unico Dio è un dono che, come Maria, custodirò nel mio cuore.

Più che un «reportage dalla Terra Santa», il mio è un grande GRAZIE! al Signore e a tutti coloro che mi hanno reso possibile vivere quest’esperienza di fede incarnata così bella e preziosa. Simone Campanelli