Toscana
Pedofilia, la lettera del Papa
di Marco Doldi
Benedetto XVI ha scritto alla Chiesa in Irlanda, ai suoi pastori, ai suoi religiosi e ai suoi fedeli. Una lettera che tanti, sia all’interno della comunità cristiana, sia all’interno di quella civile, attendevano. La prima impressione è che il Papa, come in altre circostanze, si sia fatto davvero vicino alla gente, non temendo il confronto con la dura verità dei fatti.
Questo smentisce, ancora una volta, lo stereotipo che taluni fanno di Benedetto XVI: impegnato nei libri e lontano dalla vita di tutti i giorni. Tutto il contrario! Dichiara: «Come voi, sono stato profondamente turbato dalle notizie apparse circa l’abuso di ragazzi e giovani vulnerabili da parte di membri della Chiesa in Irlanda, in particolare da sacerdoti e da religiosi». Parla di un senso di tradimento, che condivide con i suoi fedeli, per gli atti peccaminosi e criminali commessi ed anche per il modo con cui le autorità della Chiesa in quel Paese li hanno affrontati.
Benedetto XVI sceglie la comunicazione diretta e raggiunge tutti: le vittime di abuso e le loro famiglie; i sacerdoti e i religiosi che hanno abusato dei ragazzi; i genitori; i ragazzi e i giovani dell’Irlanda; tutti i sacerdoti e i religiosi; i confratelli vescovi. Nell’era della comunicazione affida il suo pensiero ad una lettera, nella consapevolezza che tutti la potranno leggere e trarre le proprie conclusioni.
Colpisce, ancora, l’equilibrio della posizione, la prudenza delle decisioni, la serietà dei provvedimenti. Un modo di fare così diverso dal moralismo, che spesso conduce al giustizionalismo o alla diffamazione. Quando succedono fatti gravi, come quelli denunciati dal Pontefice, in fretta si cerca il colpevole, consegnando il suo nome e la sua figura al ludibrio pubblico. A volte, si costruiscono casi non veri con l’unico intento di fare notizia, infangando persone innocenti. Il moralismo è miope: condanna, a volte giustamente, il comportamento di taluni, ma non propone rimedi e, neanche studia le cause. Meno che meno, indica che cosa è bene e che cosa è male.
La Chiesa, invece, ha un altro modo di fare. Benedetto XVI ricorda i passi compiuti: l’incontro a Roma con i vescovi irlandesi; la condanna di questo odioso crimine e della debolezza di taluni vescovi; la constatazione che l’abuso sui minori non è un fatto specifico né dell’Irlanda, né della Chiesa; il richiamo alla storia di fede dell’Irlanda, che ha avuto infinite luci e le ha offerte al mondo, tramite i missionari; i cambiamenti recenti che hanno indebolito la religiosità; l’invito ad una penitenza seria; l’indizione della visita canonica per alcune diocesi. Soprattutto, la Chiesa punta in alto, cioè, alla completa guarigione. Essa dispone di mezzi che sono insieme materiali e spirituali e, pertanto, pienamente adeguati alla gravità dei fatti.
La pedofilia è stata una profonda ferita; ha fatto male alle vittime, ma anche alla Chiesa, che è il Corpo mistico di Cristo; e ogni ferita va curata e guarita. «Intendo esortare tutti voi, come popolo di Dio in Irlanda, a riflettere sulle ferite inferte al corpo di Cristo, sui rimedi, a volte dolorosi, necessari per fasciarle e guarirle, e sul bisogno di unità, di carità e di vicendevole aiuto nel lungo processo di ripresa e di rinnovamento ecclesiale». Non sarà una guarigione immediata, ma occorrerà molto tempo. È il dramma del peccato, che non è mai solo un fatto individuale, ma è una ferita alla compagine ecclesiale. In questa prospettiva, i sacerdoti e religiosi che si sono macchiati di pedofilia dovranno rispondere, innanzitutto, a Dio e, poi, ai Tribunali. Il loro delitto è, insieme, umano e soprannaturale: «Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori; avete perso la stima della gente dell’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli Avete violato la santità del sacramento dell’Ordine Sacro Insieme al danno immenso causato alle vittime, un grande danno è stato perpetrato alla Chiesa».
I giovani insieme alla Chiesa di Cristo: ecco le prime vittime. Molti di questi giovani guardano con freddezza alla Chiesa, alcuni non riescono più a entrare in un luogo sacro, altri hanno perso la fede. Il Papa ne è consapevole e, per questo, vuole avvicinare, ancora, la Chiesa ai giovani. Solo lui può farlo. «Siamo tutti scandalizzati per i peccati e i fallimenti di alcuni membri della Chiesa scrive a questi giovani ma è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre. Egli vi ama e per voi ha offerto se stesso sulla croce. Cercate un rapporto personale con lui nella comunione della sua Chiesa».
Nell’Anno Sacerdotale c’è posto anche per questa lettera, che è di condanna, ma anche di speranza e di incoraggiamento per la Chiesa intera.
Leggendo la lettera che Benedetto XVI ha scritto, come Pastore della Chiesa universale, ai fedeli irlandesi circa l’abuso di ragazzi e giovani da parte di sacerdoti e religiosi, viene in mente quanto il Papa stesso ha detto alla Rota Romana il 30 gennaio di quest’anno: «Il diritto canonico, a volte, è sottovalutato come se fosse un mero strumento tecnico al servizio di qualsiasi interesse soggettivo, anche non fondato sulla verità. Occorre, invece, che tale diritto venga sempre considerato nel suo rapporto essenziale con la giustizia, nella consapevolezza che nella Chiesa l’attività giuridica ha come fine la salvezza delle anime».
In effetti, nella sua lettera pastorale, il Pontefice rileva che nella comunità cattolica irlandese vi è stata una tendenza errata di evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari e tra i fattori che hanno dato origine alla grave crisi, indica una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore.
Rivolgendosi poi, espressamente, ai vescovi d’Irlanda, Benedetto XVI ha rilevato che alcuni di loro hanno mancato gravemente disattendendo alle norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi ai ragazzi. Occorre perciò, ha affermato il Papa, che le norme giuridiche della Chiesa universale siano messe pienamente in atto e che la Chiesa irlandese emani ulteriori disposizioni per la tutela dei minori. Il Codice del 1983 prevedeva al can. 1395 il delitto del chierico contro il sesto precetto del Decalogo compiuto con un minore di 16 anni e tale fattispecie era di competenza del vescovo diocesano. Ma, per il comportamento omissivo di diversi vescovi degli Stati Uniti, Papa Giovanni Paolo II, il 30 aprile 2001, col Motu Proprio Sacramentorum sanctitatis tutela derogando al Codice, oltre che elevare l’età da 16 a 18 anni, affidava alla Congregazione per la Dottrina della Fede la competenza esclusiva su questi delitti, d’intesa coi vescovi diocesani ai quali poteva essere affidata l’istruttoria, fermo restando che la fase decisionale sarebbe rimasta comunque alla Congregazione medesima o al Pontefice. Questa decisione di Giovanni Paolo II fu da taluno criticata come una prevaricazione nei confronti dei poteri dei vescovi diocesani, se non addirittura un modo per favorire scandalosi insabbiamenti. I fatti, non ultimo questo documento di Benedetto XVI, hanno invece dimostrato che tale modo di esercitare il primato petrino ha realmente promosso la trasparenza e la giustizia. Dante, sommo poeta e maestro di vita, dice che «le leggi son, ma chi pon mano ad esse?» (Purg. XVI,97), sembra questo il messaggio del Pontefice per ricordare che i vescovi sono tenuti ad urgere l’osservanza delle leggi ecclesiastiche. È ovvio che il grave problema degli abusi sessuali non si risolve soltanto con il diritto canonico, ma certamente non eludendolo.
La scheda
Gli scandali Usa. Di abusi sessuali compiuti da sacerdoti si comincia a parlare con insistenza alla fine degli anni ’90 negli Stati Uniti. Diverse vittime trascinano sacerdoti e religiosi davanti a tribunali, accusano i vescovi di non aver vigilato o addirittura coperto i colpevoli e chiedono ingenti risarcimenti alle Diocesi. Da uno studio commissionato nel 2004 dalla Conferenza episcopale statunitense, risulta che dal 1950 al 2002 4.392 sacerdoti americani (su oltre 109 mila) sono stati accusati di relazioni sessuali con minorenni.
Il «motu proprio». Giovanni Paolo II, il 30 aprile 2001, con un «motu proprio» («Sacramentorum sanctitatis tutela») riorganizza tutto il settore dei «delitti gravi», introducendo in maniera precisa il delitto di pedofilia per il quale è prevista la scomunica. Viene elevata dai 16 ai 18 anni l’età del «minore» e si prevede che la prescrizione di dieci anni decorra solo dal compimento del 18° anno della vittima. Il 18 maggio 2001 la Congregazione per la Dottrina della Fede stabilisce come richiesto dal «motu proprio», come si debba procedere in questi casi gravi. In pratica da quel momento la Congregazione «vigila» sulle diocesi, avocando a sé alcuni casi e controllando le sentenze.
La convocazione dei vescovi Usa. Il 23 e 24 aprile 2002 Giovanni Paolo II convoca a Roma i dodici cardinali americani. Al termine viene concordato un comunicato in cui si ribadisce che «l’abuso sessuale di minori è giustamente considerato un crimine dalla società ed è un terribile peccato agli occhi di Dio», si manifesta solidarietà alle vittime e alle loro famiglie e si annunciano misure per evitare in futuro il ripetersi di questi casi. Pochi mesi dopo, il 13 dicembre, il Papa accetta le dimissioni del card. Law, arcivescovo di Boston che ha il «primato» di questi casi.
Il documento dei vescovi svizzeri. Nel dicembre 2002 sono i vescovi svizzeri a diffondere un documento «Abusi sessuali nel quadro della pastorale» che contiene una serie di «direttive per le diocesi qualora si trovino coinvolte in casi di abusi sessuali compiuti da persone impegnate nella pastorale. Le diocesi vengono chiamate a «fornire aiuto e protezione alle vittime e alle loro famiglie e ad assicurare una procedura equa anche nei confronti degli operatori pastorali coinvolti». Viene anche istituita una Commissione di esperti, incaricata di consigliare i vescovi in questa materia.
Il caso Irlanda. È Benedetto XVI ad affrontare il nodo degli abusi sessuali compiuti in Irlanda, ricevendo il 28 ottobre 2006 i vescovi irlandesi in visita ad limina, chiedendo di «assicurare che i principi di giustizia siano pienamente rispettati e soprattutto che vengano aiutate le vittime». Nel 2009 arrivano due rapporti governativi, il «Ryan Report» e il «Murphy Report» (sulla diocesi di Dublino dal 1975 al 2004) che creano sconcerto per l’ampiezza dei casi denunciati e per la reticenza dimostrata dai vertici ecclesiastici. Nel giugno 2009 il Papa convoca a Roma i vertici della Chiesa irlandese e chiede con forza che «sia stabilita la verità e fatta giustizia». Nell’ottobre 2009 i vescovi irlandesi incontrano le vittime degli abusi sessuali denunciati nel «Rapporto Ryan». Nel dicembre 2009 Benedetto XVI riconvoca a Roma i vescovi irlandesi e rimane «profondamente turbato e scosso» per quanto emerge dal rapporto sugli abusi nella diocesi di Dublino. Il 17 dicembre accetta le dimissioni di mons. Donal Murray, vescovo di Limerick, duramente criticato nel rapporto «Murphy» per la gestione dei casi di pedofilia nella diocesi di Dublino, dove era vescovo ausiliario. Il 24 marzo poi sono arrivate le dimissioni anche di mons. John Magee della diocesi di Cloyne, già affidata da un anno ad un amministratore apostolico.
Il caso di pedofilia che ha fatto più clamore in Toscana è certamente quello del sacerdote fiorentino Lelio Cantini, che il Papa ha dimesso dallo stato clericale, con sentenza inappellabile, il 19 settembre 2008, obbligandolo «ad una dimora vigilata in spirito di preghiera e penitenza in una residenza stabilita dall’Ordinario di Firenze, sotto pena di scomunica» (leggi articolo). L’ex sacerdote, oggi 87enne, si è reso «protagonista di una dolorosa e scandalosa vicenda» come si legge nella notificazione del card. Ennio Antonelli negli anni dal 1973 al 1987, quand’era parroco della «Regina della Pace», comunità di 9 mila anime, nel popolare quartiere di Novoli, a Firenze. Parrocchia che ha retto fino al 2005, anno in cui come ha raccontato l’allora arcivescovo di Firenze gli fu consegnato «un dossier di lettere firmate, con accuse di gravi delitti» compiuti dal sacerdote. Da notare che le «vittime», ormai adulte, non si sono rivolte all’autorità giudiziaria (che è intervenuta solo in un secondo momento per verificare se i reati fossero prescritti), ma a quella ecclesiastica.
Antonelli ottenne subito la rinuncia scritta dal sacerdote, ma dopo alcuni colloqui con alcune delle «vittime» di abusi e comprendendo la gravità delle accuse, ottenne dalla Congregazione per la Dottrina della Fede un processo penale amministrativo. Il Cantini venne riconosciuto con decreto dell’Arcivescovo del 12 gennaio 2007 «responsabile di delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze» e gli venne imposto per cinque anni di non celebrare sacramenti e assumere incarichi ecclesiastici assieme ad alcune penitenze giornaliere, tenendo conto anche dell’età avanzata e del cattivo stato di salute. Una «condanna» ritenuta però troppo leggera dalle vittime. La stessa Congregazione per la Dottrina della fede ritenne così necessario un supplemento d’istruttoria sul caso, affidato al padre Francesco Romano e che si concluse con la nuova condanna più severa e definitiva.
Un altro caso molto doloroso si è verificato ad Arezzo e ha riguardato Pierangelo Bertagna, membro della comunità monastica «Ricostruttori nella preghiera» e al momento degli abusi, parroco di Farneta. Al momento dell’arresto, per la denuncia di un minore, il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Gualtiero Bassetti, lo aveva immediatamente sospeso dall’esercizio del ministero sacerdotale. Il 25 luglio 2006 Benedetto XVI, appena un mese dopo la richiesta, gli concedeva la dispensa da tutti gli oneri sacerdotali rendendo così inutile il processo canonico. Nel frattempo il Bertagna era stato processato e condannato in primo grado dal Tribunale di Arezzo. Nel comunicare alla diocesi quanto stabilito dal Papa, mons. Bassetti «manifestava la propria vicinanza e solidarietà ai giovani, alle loro famiglie e alle comunità parrocchiali interessate».
Altro caso a Prato sove nel novembre 2006 venne arrestato un sacerdote nigeriano della Congregazione della Missione, p. George Denis Onyebuchi Asomugha, parroco di Galcetello, nel quadro di un’inchiesta su abusi su minori consumati a Roma, con bambini rom. Anche qui immediata fu la sospensione da parroco. Il vescovo, mons. Simoni, comunicando alla diocesi quanto accaduto si dichiarò «profondamente addolorato, e il primo interessato a conoscere se un’accusa così grave corrisponde al vero».
La lettera del Papa ai cattolici irlandesi
Pedofilia, la gravità sociale di uno scandalo che non può essere abbuiato