Opinioni & Commenti
Pedofilia, la gravità sociale di uno scandalo che non può essere abbuiato
di Umberto Santarelli
Bisogna riconoscere che la Lettera pastorale che Benedetto XVI ha scritto qualche giorno fa ai «cari fratelli e sorelle della Chiesa in Irlanda» è un testo dal tono assai inconsueto. S’era abituati a trovare, in questo genere di missive, un Magistero che, movendo dal messaggio della Salvezza e applicandolo alle situazioni storiche con le quali ci si doveva misurare, forniva ai credenti le indicazioni indispensabili perché tutta la Chiesa potesse restare concretamente fedele alla sua missione di Lumen gentium. A ogni lettore, certo, era chiesto anzitutto di misurare senza inbebiti sconti la sua personale incapacità a concorrere efficacemente a quest’opera di salvezza; ma la strada, anche se restava faticosa, appariva chiaramente segnata e perfettamente coerente alla vocazione del credente in Cristo a essere quel sale della terra che non può permettersi di perdere nemmeno un’ombra del suo sapore.
Questa volta il discorso appare diverso: nella sostanza e nei toni. La missione della Chiesa, certo, non cambia né di contenuto né di riferimenti; ma si spostano, e nemmen di poco, le condizioni di partenza per chi la deve compiere. Perché lo specifico della situazione nella quale i destinatarî della missiva son chiamati a muoversi resta pesantemente contrassegnato dalla gravità d’uno scandalo che può, senza loro colpa, render di fatto irricevibile la testimonianza della loro fede. La responsabilità di questo mutamento, certo, è di pochi (anche se non di pochissimi), ma il danno che lo scandalo ha causato potrebbe condannare tutti a un fallimento (certamente dai più immeritato, ma ugualmente inevitabile).
Di tutto questo Benedetto XVI s’è accorto; e ha detto sùbito di condividere «lo sgomento e il senso di tradimento» che molti dei destinatarî del suo messaggio hanno certamente provato nell’apprendere non solo di questi «atti peccaminosi e criminali», ma anche (e di più) «del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati». Ed ha aggiunto che proprio la gravità di queste colpe e l’inadeguatezza delle risposte date dalle autorità religiose l’hanno indotto a «scrivere questa Lettera Pastorale per esprimere la mia vicinanza a voi, e per proporvi un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione», essendo convinto «che, per riprendersi [ ], la Chiesa in Irlanda deve in primo luogo riconoscere davanti al Signore e davanti agli altri i gravi peccati commessi contro ragazzi indifesi». punti di valido riferimento non mancano, aggiunge il Papa: basta pensare alla storia religiosa irlandese da San Colombano in poi, a tutto il bene che il clero nato in queste terre ha fatto nel mondo intero, alla costanza e alla forza con cui l’Irlanda cattolica ha resistito alle persecuzioni scatenatesi a partire dal Cinquecento.
C’è poi una serie di messaggi alle persone che si sono o sono state coinvolte in questa lunga e vergognosa vicenda.
Il discorso «ai miei fratelli vescovi» è fatto col cuore, ma senza sconti né infingimenti: «non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico [ ] circa i crimini di abusi di ragazzi. Seri errori furono commessi nel trattare le accuse». E il rimedio per il futuro è indicato in modo chiarissimo: «oltre a mettere pienamente in atto le norme del diritto canonico nell’affrontare i casi di abuso dei ragazzi, continuate a cooperare con le autorità civili nell’ambito di loro competenza».
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Il problema non riguarda solamente la Chiesa in Irlanda: le prove che questo malcostume è largamente diffuso sono ormai evidentissime. Ed è urgente metterci riparo.
La prima cosa da non fare è di cercare in tutti i modi d’abbuiare quel che succede con l’intenzione solo apparentemente «buona» d’evitare gli «scandali»: certi favoreggiamenti (perché di favoreggiamenti si tratta) hanno il solo effetto di mettere il «salvatore» sullo stesso piano del «salvato», moltiplicando così (coscientemente) un danno già gravissimo.
La seconda cosa da non dimenticare è che di questi eventi, proprio per la loro gravità sociale, competente a giudicare è (anche) lo Stato. Alla Chiesa spetterà il diritto-dovere di irrogare ai colpevoli le sanzioni previste dall’ordinamento canonico, senza che questo possa sottrarre gli stessi colpevoli dalla (diversa) sanzione dell’ordinamento statuale. Lo disse a chiarissime lettere lo stesso Benedetto XVI il 19 luglio 2008 nella Cattedrale di Sydney, quando affermò che nel caso di abusi sessuali su minori da partesi sacerdoti o religiosi «i responsabili di questi mali devono essere portati davanti alla giustizia». Pochi giorni fa, a Berlino, il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, parlando del «crimine ripugnante» degli abusi sui giovani avvenuti in scuole religiose di Germania, ha assicurato come ha riferito l’Osservatore Romano del 24 febbraio che i vescovi tedeschi denunceranno alle Procure i casi di abusi di cui dovessero venire a conoscenza.
Non è certo il caso di sollevare appariscenti «questioni di principio»: nella Costituzione italiana c’è scritto che «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». È un principio che viene assai di lontano: chi volesse sincerarsene non ha che da andar a leggere l’Enciclica Immortale Dei di Leone XIII.