Italia
Pedofilia, da Santoro il «caso fiorentino»
Un profondo senso di tristezza, ma anche delusione e amarezza per il clima di accusa generalizzata alla Chiesa. Sono questi i due sentimenti provocati dalla trasmissione televisiva Annozero (per una recensione del programma clicca qui) nella quale Michele Santoro ha presentato l’ormai noto filmato della Bbc «Sex crimes and the Vatican» (per un’analisi del film clicca qui) relativo alla pedofilia nella Chiesa cattolica, secondo una nota dell’agenzia Sir a firma di Vincenzo Rini, direttore della Vita Cattolica di Cremona.
Rini parla del tradimento di alcuni sacerdoti che, chiamati per vocazione a essere testimoni dell’amore di Dio, si sono trasformati in corruttori e distruttori della coscienza e della vita di ragazzi e ragazze che avevano posto in loro piena fiducia. Il constatare il loro squallido operato a danno della gioventù afferma la nota del Sir – non può che creare un sentimento di profondo dolore e la ferma volontà di essere vicini alle vittime nella sofferenza e sostenitori decisi nella loro richiesta di giustizia.
La trasmissione ha suscitato però continua Rini – anche sentimenti di profonda delusione e amarezza. Si è data, certo, libertà di parola a mons. Fisichella e a don Di Noto, notissimo prete antipedofilo; però il sottofondo è stato quello dell’accusa generalizzata alla Chiesa, senza distinguere tra quei preti delinquenti che tanto male hanno fatto, dalla moltitudine degli altri preti che hanno dedicato e dedicano con abnegazione la loro vita al bene dei ragazzi e dei giovani. Un clima culminato in quel grido, verso la fine della trasmissione: La Chiesa deve vergognarsi, cui giustamente mons. Fisichella, a testa alta, ha risposto che quei preti devono vergognarsi e che anche la Chiesa è una loro vittima.
Nella trasmissione si è parlato diffusamente anche della vicenda fiorentina, con l’intervento di alcune delle vittime degli abusi sessuali e del condizionamento psicologico esercitati da don Lelio Cantini, sacerdote oggi ultraottantenne. A fronte delle terribili testimonianze delle vittime, il ritmo incalzante della trasmissione non ha consentito di riportare in maniera esauriente i provvedimenti presi dal Cardinale Ennio Antonelli, Arcivescovo di Firenze. In una nota diffusa lo scorso 14 aprile, Antonelli informava di aver svolto (nonostante i fatti, avvenuti molti anni fa, fossero caduti in prescrizione anche per le norme del Diritto Canonico) un processo penale amministrativo, autorizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a seguito del quale, precisava la nota, don Lelio è stato riconosciuto responsabile di delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze. Sono misfatti oggettivamente gravi che meritano riprovazione e condanna e che fanno soffrire prima di tutto le vittime, ma con loro anche la Chiesa e il Vescovo. A don Cantini è stata inflitta una pena che prevede, fra le altre cose, la proibizione di celebrare la Messa in pubblico, di confessare e di assumere incarichi ecclesiastici per un tempo di cinque anni; don Cantini è attualmente ricoverato in una casa di accoglienza per sacerdoti.
Sulla vicenda, Toscanaoggi ha interpellato anche mons. Andrea Drigani, docente di Diritto Canonico alla Facoltà Teologica per l’Italia Centrale, secondo cui la pena inflitta a don Cantini è coerente con gli abusi riconosciuti, tenuto conto della prescrizione, dell’età e delle condizioni di salute del sacerdote. È vero che poteva anche essere prevista la dimissione dallo stato clericale, però il Cardinale stesso ha detto che, sentito la Santa Sede, ha ritenuto non fosse necessario, a motivo dell’età e della salute.
Alcune delle vittime hanno ripetuto, anche durante la trasmissione di Raidue, la richiesta che la Chiesa apra su questa vicenda un processo giudiziario (che prevede la ricerca di prove, la raccolta di testimonianze, il confronto con l’imputato). Mons. Drigani spiega così i motivi per cui questo non è stato fatto: «Perché i fatti erano già prescritti e perché non era possibile la reiterazione del delitto. Si è allora autorizzato un processo penale amministrativo che dal punto di vista del diritto alla difesa è meno garantista del processo penale giudiziario. Quest’ultimo, tanto per intenderci, non avrebbe garantito di più le vittime come si legge invece su qualche giornale ma al contrario l’imputato. La Santa Sede ha ritenuto che, essendo già passato in prescrizione e date le ammissioni tant’è che don Cantini ha rinunciato al diritto alla difesa non c’era bisogno di fare il processo penale giudiziario».