Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Pazienti psichiatrici, Arezzo «modello» contro il pregiudizio.

Le difficoltà che stiamo affrontando oggi in Serbia a livello di salute mentale sono molto simili a quelle che voi aretini avete affrontato negli anni ’70 prima della legge Basaglia». Con queste parole uno dei sette operatori serbi, arrivati nei giorni scorsi ad Arezzo nell’ambito del progetto di salute mentale attivato dalla Caritas italiana nei Balcani, spiega quali ostacoli sta affrontando nella propria nazione dove gli ospedali psichiatrici sono ancora terra di politiche discriminatorie, inefficaci e che spesso privano i pazienti della minima dignità. Proprio la provincia di Arezzo, in particolare l’ex manicomio del Pionta nel capoluogo, è stato proposto agli operatori serbi come modello di una politica da attuare nei Balcani, anche grazie al contributo della Caritas. «Il manicomio di Arezzo – spiega Bruno Benigni, assessore provincia e regionale alla sanità tra gli anni ’70 e ’80 – era una piccola “cittadella della morte”, separata dal resto della città. Nessuno sapeva che cosa accadesse realmente là dentro». «I pazienti – aggiunge Cesare Boldioli, psichiatra aretino – erano trattati come “cose” e la malattia diveniva la vera identità delle persone. Quelli in condizione peggiore venivano inseriti nel reparto degli “agitati”. Ricordo il caso di una donna che vi fu trasferita perché – così recitava la sua cartella clinica – in stato di “agitazione psicomotoria”. Dopo qualche tempo si scoprì che era incinta». Una realtà che – come accade ancora nei Balcani – considerava i malati mentali come incurabili. Una concezione ampiamente superata grazie all’introduzione della legge 180, di cui proprio Arezzo – grazie all’equipe medica guidata da Agostino Pirella – è stata ispiratrice assieme a Gorizia. «È stata necessaria – spiega l’ex assessore – una trasformazione radicale del modo di pensare ai manicomi che è durata dieci anni. La scienza e la politica hanno iniziato a prendersi cura delle persone, cercando di sostituire al ricovero il recupero attraverso progetti di inserimento nel territorio. Anche con le proprie energie il malato doveva concorrere alla propria “liberazione”. In questo senso è stata necessaria una sensibilizzazione del territorio che inizialmente si opponeva all’idea di avere i “matti” per strada o vicino casa. Da questo punto di vista un contributo importante è stato dato anche dai parroci aretini». «L’attuazione della legge Basaglia ad Arezzo – sottolineano gli operatori serbi – è un importante riferimento. Il nostro problema è che ancora oggi la politica e la società sono poco sensibili a questi temi». «Da questo punto di vista – aggiunge don Livio Corazza, responsabile del servizio Europa per Caritas italiana, anche lui presente ad Arezzo – progetti come il nostro possono iniziare a smuovere qualcosa in una realtà dove a vincere è ancora il pregiudizio».Lorenzo Canali