Vita Chiesa
Pastorale universitaria: Diaco, “I giovani hanno bisogno di essere ascoltati e valorizzati, soprattutto amati”
Gli anni dell’Università sono un tempo decisivo, fatto di incontri, esperienze, responsabilità, scelte. Un tempo in cui prende forma la vocazione personale, l’orientamento di fondo della propria vita. In questo contesto si è tenuto l’Incontro nazionale degli studenti e dei ricercatori universitari che l’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e l’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei hanno promosso dal 10 al 12 marzo ad Assisi, sul tema “Dove lo Spirito è di casa”. L’appuntamento ha offerto un’occasione di fraternità e di ricerca comune, in cui ascoltare la Parola, la vita, le persone. Un passo importante anche per il Cammino sinodale della Chiesa italiana. A partire dall’Incontro di Assisi, abbiamo chiesto a Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, quali sono le prospettive future della pastorale universitaria.
Perché è stato importante l’appuntamento di Assisi?
L’Incontro nazionale di Assisi è stato importante per almeno due ragioni: la prima, perché, a differenza delle iniziative promosse negli anni scorsi, non ci siamo rivolti ai responsabili diocesani o ai cappellani universitari, ma direttamente agli studenti e ai ricercatori universitari, per i quali il convegno è stato pensato e strutturato. La seconda ragione è che l’abbiamo esplicitamente collegato al Cammino sinodale della Chiesa italiana e, in particolare, al primo dei “Cantieri di Betania”, quello “della strada e del villaggio”, che prevede l’ascolto dei “mondi vitali” e dei contesti sociali e culturali in cui i credenti operano accanto alle altre persone.
Quali sono gli obiettivi di questo rinnovato interesse per il mondo universitario?
Il primo obiettivo è lo stesso del Cammino sinodale: avere occasioni di ascolto, di dialogo e di riflessione comune per cogliere le domande e i bisogni, ma soprattutto i contributi positivi, gli apporti che arrivano dai giovani stessi e le provocazioni emergenti dall’esperienza che loro fanno nel mondo della ricerca e della cultura. Inoltre, vogliamo mandare un segnale di attenzione non solo nei confronti dell’Università come struttura, ma delle persone che la abitano e la costruiscono ogni giorno. La pastorale universitaria non è solo rapporto fra istituzioni, ma relazioni tra giovani e adulti, consacrati e laici, credenti e non credenti. Il dialogo tra Chiesa e l’Università avviene soprattutto nei territori, dove si promuovono momenti di approfondimento, di studio, di scambio reciproco. È importante dunque conoscere e sostenere tutte quelle occasioni che vedono le comunità ecclesiali e le Università incontrarsi in vari modi.
Nel dialogo riavviato con i giovani ad Assisi quali richieste sono emerse da parte loro?
Sia il dialogo in assemblea sia i laboratori sono stati molto partecipati e vivaci. Prendendo spunto dai “Cantieri” sinodali, abbiamo chiesto quando si sentono a casa nella comunità cristiana e come l’esperienza universitaria può provocare la pastorale della Chiesa. Nelle loro risposte i giovani hanno evidenziato il bisogno di essere accolti e ascoltati senza venire prima giudicati, l’importanza di essere accompagnati e valorizzati senza essere sfruttati e anche di essere presi sul serio. In una parola, di sentirsi amati. Di percepire l’abbraccio di Dio. C’è una grande richiesta di condivisione e di comunità, a volte si sentono anonimi anche nei luoghi ecclesiali. Molti di loro esprimono delusione per quanto offre il mondo di oggi; per questo si aspettano proposte diverse e testimoni credibili. Ci chiedono sincerità e coerenza, una Chiesa che vada al senso delle cose, calandosi nella quotidianità e dando a tutti la possibilità di esprimere il proprio pensiero. Dal loro vissuto universitario traggono la proposta di incrementare il confronto della Chiesa con la scienza, l’economia, la cultura. Occorre “parlarsi di più”, insistono molto su questo punto. Personalmente, ho raccolto un forte bisogno di speranza, insieme alla disponibilità a essere loro stessi protagonisti di questa speranza.
L’appuntamento di Assisi è stato organizzato da due Uffici Cei…
Sì, l’Incontro nazionale è stato promosso insieme dall’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. Non possiamo più lavorare da soli. A maggior ragione nel contesto della sinodalità e dopo il Sinodo dedicato ai giovani, che ha evidenziato come ogni esperienza formativa abbia una forte valenza vocazionale e di discernimento esistenziale. Ad Assisi abbiamo pregato nei luoghi di San Francesco e Santa Chiara e riflettuto sulle parole della “Christus vivit”, dove il Papa scrive: “Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: ‘Ma chi sono io?’. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: ‘Per chi sono io?’”. Rispetto a questa domanda si apre un ventaglio molto ampio di risposte, che comprende sì la strada verso il sacerdozio e la vita consacrata, ma anche quella che passa dal matrimonio, dal modo di vivere lo studio e la professione, dall’impegno nella società… Una vita donata secondo le mille forme che la realtà provoca e che lo Spirito suscita nella vita quotidiana di ciascuno.
Dopo Assisi come proseguirete il cammino?
Abbiamo davanti diversi impegni. Il primo è quello di far arrivare al Comitato nazionale del Cammino sinodale il frutto di questo ascolto e dialogo con gli studenti universitari, cosicché la loro voce possa arrivare a chi elabora gli strumenti e le proposte per il prosieguo del Cammino sinodale. Una seconda direzione di lavoro l’hanno data i ragazzi stessi al termine dell’Incontro di Assisi, con la loro proposta di creare un’équipe nazionale per la pastorale universitaria che comprenda anche studenti universitari. Esiste già una Consulta nazionale che però non si dedica solo alla pastorale universitaria perché comprende tutto il mondo dell’educazione e della scuola. L’invito che ci viene dai ragazzi ci spinge a studiare le forme attraverso le quali, oltre a quanto già esiste, si possa realizzare un coinvolgimento diretto degli universitari anche a livello nazionale. Una terza linea da approfondire è quella di proseguire nella collaborazione tra i nostri due Uffici, in tutte le occasioni possibili, in modo che dall’Incontro di Assisi possa emergere qualcosa di nuovo sia per noi sia per le diocesi.
Come la Chiesa italiana può essere vicina gli universitari?
La Chiesa può essere vicina alle persone mettendo a loro disposizione altre persone. I nostri luoghi e ambienti, come possono essere le cappellanie, i collegi universitari e i centri pastorali diocesani, esistono per educare e accompagnare, ossia generare relazioni e momenti di incontro. Non è scontato far sì che, attraverso questi spazi e strumenti, i giovani possano incontrare adulti o altri giovani come loro con cui entrare in dialogo, instaurare amicizie significative e con cui condividere esperienze di formazione, di spiritualità e di condivisione, di riflessione sulle sfide culturali che l’esperienza in Università provoca nel mondo di oggi e in ciascuno di loro.