Vita Chiesa
Pastorale giovanile, alla ricerca degli adolescenti
Proprio a Pisa nella Stazione Leopolda, sede della gioiosa esperienza della missione giovani che si è svolta lo scorso aprile, ha avuto luogo l’annuale Convegno Regionale di Pastorale Giovanile «Adolescenti Cercasi», titolo e tema attorno al quale si sono riuniti i rappresentanti delle diocesi toscane che svolgono un servizio pastorale con i giovani e gli adolescenti.
Hanno aperto il Convegno i «padroni di casa», porgendo un breve saluto iniziale don Claudio Bullo, incaricato pisano di Pastorale giovanile e guidando la preghiera l’arcivescovo di Pisa mons. Giovanni Paolo Benotto. Motivando il senso della giornata, mons. Benotto ha richiamato agli educatori l’importanza di poter offrire ai ragazzi riferimenti seri, veri, che per primi proprio gli adulti che li accompagnano dovrebbero avere. «Il messaggio da trasmettere e la proposta da fare sono una ricchezza che abbiamo ricevuto e siamo chiamati a trasmetterla», in un quadro di riferimento bello, attraente, certi di offrire qualcosa che non appartiene a noi ma è dono di Dio. Proprio nello spirito della giornata, l’Arcivescovo ha sottolineato il valore della condivisione, nell’esperienza di accompagnamento dei giovani e in quella più ampia di Chiesa, dove le singole realtà sappiano mettersi in rete creando comunione. «Più si crea comunione, più si è fecondi», ha detto.
Don Alessandro Lombardi, incaricato regionale per la Pastorale Giovanile, ha introdotto il tema del Convegno, volutamente in continuità con quello che si è svolto a Lucca lo scorso anno, che era intitolato #questachiesamipiace: il tema di quest’anno, «Adolescenti cercasi», ha spiegato don Alessandro, «vuol essere il segno di una passione che la Chiesa ha e che esprime facendo quello che faceva Gesù: cercare le persone per offrir loro una via di felicità».
Con l’intervento dello psicologo Ezio Aceti siamo entrati nel cuore del Convegno. Una relazione ricca di provocazioni e di spunti di riflessione, animata dalla passione che sempre lo contraddistingue, volta a stimolare un’analisi approfondita del mondo degli adolescenti, per conoscerli meglio e poterli così amare di più. Tra i problemi che oggi emergono nel loro mondo, il primo è quello legato al rapporto con il loro corpo, assolutizzato, rappresentativo spesso del «tutto» della persona; «il pensiero è stato invece cosificato, sostituito dalle cose», ha detto, e rischiamo di non avere più giovani con grandi ideali ed utopie. «Dobbiamo alzare il loro pensiero!», ha esortato. L’adolescente, ha proseguito il professore, vive l’incapacità di mantenere propositi e questo può mandarlo in crisi e abbatterlo, ma in una società dove ci si deve sempre mostrare forti, bravi, belli, alla crisi si reagisce spesso con le dipendenze (fumo, alcol, prostituzione, gioco d’azzardo…).
I problemi che emergono sono legati anche alla società tutta adolescenziale, senza progetti a lungo termine, «perché gli diciamo che diventare grandi è una rogna!», ha esclamato Aceti. Cosa vuol dire allora lavorare con gli adolescenti da credenti? Ascoltarli, mettere al centro la relazione, avere uno sguardo di luce sull’altro, lo stesso sguardo di Gesù, positivo, di sostegno e nel presente; essere umili nel rapporto con loro, togliere i pregiudizi, ascoltando anche le loro ragioni, dando sempre risposte vere, che generano gioia e donano libertà. Altro tema trattato è stato quello dell’amore. «Siamo programmati per l’amore e l’amore si educa»; «bisogna insegnare che l’amore è sempre possibile» e permette di fare le scelte con intelligenza, così si arriva ad una maturità più grande. Aceti ha anche evidenziato come siano presenti in ogni bambino e adolescente, oltre a quelli donati dal babbo e dalla mamma, anche quelli che lui ha chiamato i «cinque cromosomi di Dio»: la relazione, l’amore, il vero, la possibilità di ricominciare sempre e l’orecchio interiore, capace di ascoltare la trascendenza. L’invito lasciato: ricominciamo con loro e per loro.
Alla relazione sono seguiti molti interventi, molte domande e la mattinata di convegno si è poi conclusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal Vescovo di Pescia mons. Giovanni De Vivo, Delegato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale giovanile.
Nel pomeriggio, la seconda parte del convegno si è aperta con il racconto della missione giovani tenutasi a Pisa la scorsa primavera. Un video e la testimonianza di coloro che sono stati coinvolti in questa esperienza, hanno aiutato i presenti a capirne il valore e la bellezza. Tre parole chiave l’hanno contraddistinta: sorprendere, testimoniare, raccontare. La sorpresa della stampa, coinvolta nella diffusione della notizia della missione e nel seguire il suo evolversi nei luoghi della movida pisana, la testimonianza nella Stazione Leopolda ed il raccontarsi dei giovani in missione nelle scuole che si sono aperte a questa opportunità di incontro.
Di grande interesse anche l’intervento della sociologa Chiara Giaccardi che ha parlato della mutazione di una generazione, partendo dai cambiamenti che avvengono a livello neurologico nel cervello degli adolescenti. Tra le caratteristiche evidenziate, sono emerse quelle che determinano a livello biologico il loro comportamento, come la scarsa capacità di valutazione del pericolo, la vulnerabilità alla pressione dei coetanei, la reazione intensa a gratificazioni piccole. Non tutto però è determinato da questo, in quanto ampio spazio viene lasciato al modellamento sociale. Da qui l’importanza dell’esperienza e dell’educazione. La professoressa Giaccardi ha trattato anche l’argomento media, dispositivi che abilitano i ragazzi a fare delle cose; essi ne dispongono, ma anche si espongono ad essere da essi manipolati. Non è un mondo virtuale, ma reale, in sinergia e non in competizione con il resto della realtà. I rischi anche nella dimensione del digitale «sono legati all’età», ha detto la Giaccardi, «non alla tecnologia» e sono rischi relazionali. Per questo è importante «distinguere il connettersi dall’incontrarsi, perché la connessione non è necessariamente un incontro». Obiettivi? Superare l’individualismo, la passività e il puro consumo, valorizzare con gli adolescenti la dimensione collaborativa e relazionale, proprie della natura umana.
Per la Chiesa gli adolescenti sono ancora dei fantasmi», ha detto don Michele Falabretti nel suo intervento conclusivo del Convegno. Il Catechismo della Chiesa Cattolica prevede tutte le fasce di età, ma il testo «Io ho scelto voi» che si rivolge agli adolescenti, è in realtà presentato come un catechismo dei giovani. Non solo gli adolescenti esistono, ma dovrebbero essere intercettati con degli obiettivi, delle finalità. «Impariamo a riconoscerli», ha detto; «cominciamo a considerarli un mondo verso il quale avere delle attenzioni».
L’invito dunque a svegliare le nostre comunità parrocchiali, le nostre diocesi. Nelle nostre parrocchie infatti c’è e funziona l’iniziazione cristiana. «Stando ai numeri non è in crisi», ha ribadito don Falabretti. Il punto è che fatta la Cresima gli adolescenti devono poter trovare dei percorsi; arriva l’età in cui l’esperienza diventa un momento chiave, la fede non è solo istruzione. «Anche nell’educazione alla fede occorre riscoprire la passione educativa, occorrono persone che si spendono senza guardare l’orologio». Spendersi, avere cura significa avere pazienza, mettersi accanto. Occorrono sì momenti in cui si trasmettono contenuti, ma ci vuole un contesto, una comunità perché il gruppo non muoia. «Ci sono adolescenti che vengono a messa e altri che ci vengono poco o forse mai, però ci sono diversi livelli di aggregazione e opportunità perché facciano esperienza di comunità».
Oggi la vita dei ragazzi si sviluppa lontano dal campanile, in una rete quotidiana molto più vasta e gli adolescenti sono una saponetta bagnata che rischia continuamente di sfuggirci. Occorrono perciò buone collaborazioni tra parrocchie, tra territori; l’invito dunque ad una formazione a progettare insieme. Progettare significa tenere a cuore gli adolescenti e mettersi in rete, aprire percorsi di sostegno degli educatori, parrocchie che si scambiano esperienze.
Il Papa ci chiede di uscire; la fatica educativa chiede ancora di essere vicini fisicamente ai giovani, senza paura di un livello di critica necessario. «Aiutiamo i giovani a formarsi una coscienza e a prendersi responsabilità. Mettiamoci il cuore, loro lo riconosceranno».