Cultura & Società
Pasqua, le reliquie della Passione
di Carlo Lapucci
Ognuno conserva qualche ricordo di persone: chi considera un oggetto come una memoria, chi un legame più o meno stretto con la persona dalla quale proviene, chi ci associa una specie di culto, ne fa un amuleto, un elemento feticistico. Sotteso a questi atteggiamenti c’è in ogni caso la convinzione che un vincolo segreto unisce l’oggetto alla persona o che qualcosa di questa rimanga nell’oggetto. Una simile idea sta a fondamento del fenomeno delle reliquie di qualsiasi genere. Quelle sacre sono i resti provenienti dai corpi, dagli abiti, dagli oggetti usati, toccati da una persona santa, da un taumaturgo, che nell’idea comune mantengono la forza del santo. Si conservano e si onorano come testimonianze, ma valgono per molti fedeli come elementi miracolosi in quanto trattenendo, secondo la credenza comune, la forza spirituale, magica posseduta da colui al quale sono appartenute, possono agire positivamente su chi le possiede.
La dottrina venne ben definita da Sant’Agostino nelle divergenze che già esistevano. Nell’opera Contro Fausto di Rilevi (Contra Faustum XX, 21) afferma che la Chiesa onora le vestigia dei martiri perché ne sia seguito l’esempio, per associarsi ai loro meriti e per averne aiuto, così come si elevano altari non per i martiri, ma al solo Dio dei martiri.
Si associarono le reliquie dei martiri all’altare lapideo inserendole nello spessore della mensa, ovvero alla base del pilastro che la sorreggeva. Oppure si celebrava sopra una pietra cubica svuotata e dentro il quale riposavano le spoglie del santo visibili per mezzo di una grata. La pietra cubica poteva stare sopra il sepolcro del martire, al quale si accedeva attraverso la scala di un pozzo come l’altare di San Pietro comunica con la tomba del capo degli Apostoli.
Del resto nel mondo laico case, biblioteche, sacrari patriottici, musei, collezioni, dimore monumentali, monumenti, ridondano di sacri cimeli d’eroi, fondatori, comandanti, caduti, artisti, scienziati, dittatori, e sono circondati di onori, sentimenti d’ammirazione, riconoscenza, commosse memorie, con lo stesso tacito presupposto di una forza magica, che si rivela, spinge, urge, parla, ispira: Ah sì! da quella religiosa pace un nume parla dice l’illuminista Foscolo nei Sepolcri, e proprio da quelli di Santa Croce intendeva prendere la «forza» (che ci fa tornare alla mente Guerre stellari) e l’ispirazione con l’Alfieri e tutti gl’italiani per la missione di riscatto nazionale. I sacrari, i mausolei di Lenin, Stalin, Mao, le tombe di Leopardi, di Dante, il Cimitero di Père Lachaise, i monumenti funebri d’infinite altre figure forti, documentano che l’idea primitiva è tutt’altro che spenta, e forse inestinguibile.
I chiodi poi finirono a Costantinopoli e vi rimasero fino ai tempi di Giustiniano: S. Vigilio, poi pontefice, vi fece sopra giuramento nel 555. Nell’anno 586 l’imperatore d’Oriente Costantino Tiberio li donò a San Gregorio Magno che faceva ritorno a Roma e il chiodo che si trovava nel diadema di Costantino fu donato alla basilica di Santa Croce in Roma. Quello che faceva parte del morso del cavallo fu regalato alla chiesa Metropolitana di Milano e il terzo fu dato alla chiesa di San Giovanni a Monza. Questo fu poi inserito nella Corona ferrea custodita nel duomo di Monza: un cerchio d’oro fatto con sei pezzi uniti da cerniere interne, ornata con 22 gemme e 24 brillanti. Si dice sia stata fatta fare e donata da Teodolinda. Contiene una sottile lamina interna di ferro battuto che tradizionalmente è ritenuta foggiata con il chiodo della Crocifissione. È detta la corona dei re d’Italia, da Ottone I a Napoleone I, ma è stata consumata poco, e anche questo dice quale fosse la concezione di Teodolinda riguardo alle reliquie. Questa è la strada dei santi chiodi segnata dalla leggenda, ma la fede va ben oltre e migliaia di altri chiodi si trovano qua e là, e di tutti si afferma d’essere stati quelli della Crocifissione. Spesso si moltiplicavano solo per contatto, e questo spiega anche le infinite altre cose sante.
La storia di Longino, santo col titolo di soldato e martire, è narrata nella Legenda aurea e la festa cade al 15 di marzo. Ha la sua leggenda: colpendo il costato di Cristo sarebbe diventato cieco, ma le gocce di sangue, cadendogli sugli occhi, gli avrebbe ridato la vista. Convertitosi al cristianesimo fu battezzato dagli Apostoli in Cappadocia e finì i suoi giorni con la tortura e il martirio.
Veronica è dunque una figura evanescente che si trova nella Legenda aurea nel capitolo della Passione, dove guarisce con il velo l’imperatore Tiberio. La Chiesa Orientale la identifica con la donna emorroissa guarita da Cristo (Matteo IX, 20-22) e fu onorata come santa con la festa al 12 luglio. L’episodio che la riguarda è una delle stazioni della Via Crucis ed ha sempre commosso per la gentilezza del gesto e per il suo toccante significato. L’immagine conservata in San Piero risale circa all’VIII secolo e si trova replicata, anche con pretesa di autenticità, in molte altre versioni. Come soggetto è stato trattato dai massimi pittori ed è sempre frequente nelle immaginette sacre. Ritengono alcuni che il nome della donna derivi dalle parole vera (latina) ikon (greca) immagine: Veronica, vera immagine del volto di Cristo.
Il diavolo e la reliquia