Opinioni & Commenti
Pasqua, l’accozzaglia umana si trasforma in popolo dell’attesa
Sono folle raccolte in processioni diverse, numericamente e qualitativamente. Nella continuità di quel gesto tempi e culture diverse declinano scenari incomparabili: le processioni impossibili dei luoghi a sparuta minoranza cristiana (come quelli di don Santoro) danno la mano a espressioni di fede vivaci e cariche di ambiguità pagana, rimbalzano nelle piccole frazioni di un Appennino disabitato con tanto di campanile muto e traversano le città dove, accanto a una parrocchia che esce per strada con centinaia di bambini festosi, ne esiste un’altra, tutta di anziani che a fatica raggiungono le panche di chiesa. Basiliche semideserte e piazze piene come nelle giornate mondiali: da dove osservare con verità questo popolo? Un amico monaco, appena trapiantato dalla Toscana al Brasile, mi scrive: «Come cambiano le misure delle cose quando si esce appena un po’ da parametri consolidati e consumati!».
La Settimana Santa offre la possibilità di una comprensione profonda, al di là delle cifre e dei luoghi. Quale? Le pretese di Pietro, di Maria, dei discepoli sono state bruciate nella morte e risurrezione del Cristo, generando l’attesa che non delude. Le palme di domenica saranno bruciate e quella cenere ci sarà messa sul capo l’anno prossimo, nel primo mercoledì di quaresima. Il progredire personale e di popolo trova in questo simbolo il suo smacco e, insieme, la possibilità di un autentico senso da dare alla vita. Infatti, cosa dire di sensato e di duraturo senza misurarsi con la cenere? Come parlare di speranza senza questa misura? Manzoni, nel 5 Maggio esprime la pietà per la gloria infranta con la cifra tutta cristiana del «Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò». Siamo eternamente quella gente, quell’accozzaglia umana sbandata dalla pretesa vacillante poi miseramente delusa, rigenerata in popolo dell’attesa, capace di cogliere, nel fluire dei giorni, il misterioso e inevitabile consumarsi e crescere dell’amore: come il cero, che illumina spengendosi.