Con questo stato d’animo, in nunziatura a Kiev, ci si appresta a vivere quest’anno la festa della Santa Pasqua. A descriverlo al Sir, è il nunzio apostolico mons. Visvaldas Kulbokas. “Passeremo queste giornate insieme – racconta – sia per la consegna di un’ambulanza, dono del Santo Padre, ad un ospedale di Kiev; sia per visitare le località attorno a Kiev che hanno sofferto e vissuto cose incredibili e indescrivibili; sia per incontrare con le comunità cattoliche e pregare con loro. Certamente ci sono tante urgenze. Ciò nonostante cercheremo di vivere il triduo pasquale con preghiera intensa”.Il nunzio ripercorre il programma del card. Krajewski a Kiev. Mercoledì, sarà una giornata dedicata soprattutto ad alcuni incontri e visite. Giovedì Santo, come atto simbolico del “lavaggio dei piedi”, ci sarà la consegna dell’ambulanza, dono del Santo Padre, all’Istituto cardiologico di Kiev e successivamente la partecipazione alla liturgia del Giovedì Santo “in coena Domini”, nella chiesa di san Nicola a Kiev. “E’ davvero una Chiesa-simbolo del periodo che stiamo vivendo”, dice il nunzio, “perché la parte superiore viene utilizzata, anche in coordinamento con il governo ucraino, per la distribuzione degli aiuti umanitari mentre le liturgie si svolgono nel sottosuolo, in una specie di cripta”. Venerdì Santo sarà un altro giorno “significativo”. “Abbiamo previsto di andare con il cardinale in questo triangolo terribile di Vorzel, Irpen, Bucha e Borodyanka. Non sappiamo quanto riusciremo a visitare perchè si tratta di un territorio distrutto quasi completamente, e quindi gli spostamenti pur scortati dalla polizia e dalle autorità, saranno molto lenti e difficili.Andremo in quel territorio per stare nei luoghi dove tantissime persone hanno patito giorni e giorni di sofferenze e di morte e pregare la via crucis e la liturgia del Venerdì Santo con loro”.Poi Sabato Santo, sarà celebrata la Veglia Pasquale nella cattedrale romano cattolica di Kiev insieme al vescovo Vitalii Kryvytskyi e con la partecipazione di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk. E infine il giorno di Pasqua, dove è prevista la celebrazione della liturgia sempre nella cattedrale cattolica.“Questa Settimana Santa la viviamo come un periodo di passione”, confida ilnunzio che elenca, ad uno ad uno, gli orrori vissuti in questi circa 50 giorni di guerra. Il pensiero va subito a Borodyanka, cittadina che dista da Kiev una cinquantina di chilometri. “Mi dicono che è un’apocalisse. E mi dicono che non c’erano obiettivi militari, quindi hanno colpito condomini e case e hanno distrutto tutto. E a dieci giorni di distanza non si riesce tuttora a estrarre i corpi dalle macerie perché è tutto minato. Ci sono mine dappertutto, nelle case, nelle lavastoviglie, nei bagagliai delle macchine. Dove metti i piedi, esplodi. Ci vuole una bonifica”. E se non si muore sotto le bombe, si muore per fame. “Due settimane fa – racconta il nunzio – un collaboratore della nunziatura mi diceva di aver visto a Kiev una signora anziana raccogliere dei pezzettini di pane, perché evidentemente non aveva nulla da mangiare. In questi giorni la vita a Kiev sta lentamente recuperando, sebbene non si possa ancora parlare di un ritorno alla normalità”.Il pensiero va poi al seminario di Vorzel, dove dalle testimonianze del rettore e del vescovo, è stato tutto distrutto. “Anche la statua della Vergine Maria è stata gettata a terra. Questa è la guerra. Arrivano i militari e rubano e distruggono tutto”. A Bucha, il direttore della filiale dell’Istituto cardiologico di Kiev ha raccontato al nunzio che tutta l’apparecchiatura è stata “deliberatamente” distrutta dai militari. “Sono entrati ufficio per ufficio ed hanno distrutto computer e macchinari.Questo è il volto della guerra: non si tratta soltanto di bombe, di vittime militari e civili, ma di distruzione totale e deliberata”.Vorzel, Irpen e Bucha sono cittadine che distano dalla nunziatura 20/25 chilometri e “per più di un mese sentivamo da qui i colpi di artiglieria e i combattimenti”. In quei momenti – confida il nunzio – pensavo che anche se un colpo su mille avesse ucciso o ferito una sola persona, sarebbe stato troppo”. Mons. Kulbokas parla infine dei “bimbi sulle cui schiene i genitori hanno scritto il nome e cognome, la data di nascita e i numeri di contatto in modo che in caso di morte dei genitori, almeno si sa chi è il bimbo e dove cercare i familiari”.Parlare di riconciliazione e di perdono a Kiev. “La riconciliazione – osserva mons. Kulbokas – dà i frutti se si permette ad un popolo di sopravvivere fisicamente e di rimanere libero. Se invece viene sottomesso o addirittura sterminato, tutto il discorso della riconciliazione cade nel vuoto e non è possibile umanamente realizzarlo”. Il nunzio ritiene importante insistere e incoraggiare i propri fedeli “ad evitare l’odio e anche l’uso di parole denigranti contro l’aggressore perché come credenti non vogliamo cadere in questa spirale”. “Tuttavia – aggiunge – se da una parte c’è questa azione volta ad incoraggiare il perdono e la riconciliazione, dall’altra, la gente che abita nelle località bombardate, dice che questo desiderio di riconciliazione va bene a condizione però che ‘sopravviviamo e rimaniamo vivi e liberi’”.“La riconciliazione – insiste il nunzio – è un dono ma se il dono non viene corrisposto dall’altra parte, è tutto finito”. “Quando il Santo Padre, la Domenica delle Palme, ha invitato ad una tregua pasquale, mi identifico con tutto il cuore in questo invito, aggiungendo: umanamente parlando si tratta di una cosa impossibile perché la guerra spinge in una spirale sempre più malefica e feroce da cui è sempre più difficile uscire fuori. Ma da credenti, da cristiani, diciamo: Signore, Tu puoi tutto, Tu puoi cambiare i cuori di tutti, anche il cuore di chi è responsabile di questo disastro. Invochiamo allora la tregua e la pace come un dono, come un vero miracolo di Dio.Se crediamo nella Resurrezione di Gesù che è il più grande dono per noi ma anche un miracolo umanamente impossibile, allo stesso modo crediamo per noi nel miracolo della pace”.