Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Pasqua di luce, oltre la cultura della morte».

«Fuoco e luce» per andare oltre un contesto in cui prevale l’indifferenza e la «cultura della morte». Sono i due simboli scelti dall’arcivescovo Riccardo Fontana per presentare la «speranza» che scaturisce dal sepolcro vuoto nell’omelia della Notte di Pasqua. Una notte che l’arcivescovo ha definito «dei bilanci, nella quale ciascuno di noi è chiamato a pensare a se stesso e a giudicare la memoria di un anno trascorso dall’ultima Pasqua». Poi ha aggiunto: «È la notte del bivio, in cui scegliere ancora la strada da percorrere. A portata di mano ci vengono offerti il regno di Dio, ma anche la banalità del tempo presente».Nella sua riflessione Fontana ha invitato a «promuovere dentro di noi l’ecologia dello spirito. Di essere le colombe capaci di portare l’ulivo della pace». Significative le domande che l’arcivescovo ha posto: «Vogliamo migrare o no, fratelli miei, verso la Gerusalemme del cielo; vogliamo scegliere ancora per il Signore?». Poi il presule ha ricordato che nella Quaresima «abbiamo provato ad allestire la nostra Chiesa con i gioielli della carità, ancor più che la chiesa cattedrale con i vasi preziosi della tradizione, come gli apostoli trasformarono quel vecchio locale presso la porta della città, nel cenacolo di Gerusalemme; ciascuno ha fatto la sua piccola parte, come poteva e sapeva».Due sono stati i segni al centro della sua meditazione: il fuoco e la luce. «Fai o Signore – ha detto Fontana – che entrati in chiesa ne usciamo illuminati e trasformati, pieni di fede e pronti a passare il fuoco a quanti incontreremo nella carità operosa». Quindi un’ulteriore invocazione: «Non ci fare essere banali, né distratti. Abbiamo il dovere di guardarci in faccia, Signore». L’arcivescovo ha messo in evidenza le preoccupazioni odierne. «Ci spaventa – ha affermato – la cultura di morte che ci è attorno e che spegne la nostra umanità, fino a farci diventare insensibili di fronte ai mali e alle sofferenze altrui. Vogliamo fare come te: rispondere con amore a chi ci chiede aiuto, pur con i mille linguaggi del nostro tempo».Infine un richiamo alle difficoltà che sta attraversando in questo periodo il territorio aretino. «Abbiamo davanti agli occhi la nostra povertà. Non le iniziative più o meno funzionate, non le prove di bravura. Facci accorgere di chi è povero, in difficoltà, solo. Facci muovere a carità e non a giudicare sempre, a condannare spesso. Talvolta, o Signore, ci pare che tutto dipenda da noi, di dover fare tutto noi. Il dono grande è quello che ci fai tu, che per mille strade diverse ci hai mostrato la tua misericordia». Nella conclusione Fontana ha posto l’accento sul bisogno di armonia spiegando che occorre essere «consapevoli che le diversità sono un dono e solo le divisioni sono opera del maligno».G.G.