Cultura & Società

Parronchi, l’ultimo grande della poesia del Novecento

di Vincenzo ArnoneCi sono memorie letterarie che rimangono legate soltanto a una stima e ammirazione estetica o manualistica; di valore, certamente, ma come sospese in un orizzonte scolastico. E altre che intendono aggiungere a queste connotazioni, altre di carattere personale, amichevole o di pensiero.Riflettevo su questo quando ho avuto notizia della morte di Alessandro Parronchi e quando ho letto vari pezzi su quotidiani: belli, precisi, culturali.

Il mio ricordo di Parronchi è perciò di carattere letterario e personale, per quel che egli ha scritto lungo tutto il secolo ventesimo e per quel che egli è stato come persona, come cristiano, come amico (si licet parva…).

Sul suo valore letterario e poetico è stato detto tutto, in una consacrazione letteraria che parte ormai da anni lontani, dagli anni Quaranta e si scioglie e irrobustisce nei decenni successivi, anche con la critica d’arte e l’insegnamento universitario.

La sua prima raccolta, I giorni sensibili, del 1941, con gli inizi ermetici, i suoi incontri alle famose «Giubbe Rosse» di Firenze con Montale, Vittorini, Ungaretti, Bigongiari, Luzi… rientrano ormai nella leggenda della nostra letteratura italiana, quando Firenze era al centro della produzione e della vivacità culturale. La sua ultima raccolta del 2006, Carmi novecenteschi, arriva nella piena maturità e nel raggiunto classicismo, in un superamento delle correnti letterarie e dell’usura del tempo per arrivare ai nostri giorni e parlare ancora alla nostra sensibilità. Non per nulla un critico letterario di grande serietà come Luigi Baldacci ebbe a scrivere di lui: «Alessandro Parronchi è uno dei veri poeti del Novecento italiano; e non sono molti».Il mio ricordo è anche di carattere personale, giacchè il poeta (con la moglie Nara, ammirevole per la sua dedizione al marito specialmente nei momenti della malattia ) nel periodo estivo, per diversi anni, ha abitato sulla collina di Acone, nell’ambito della mia parrocchia e ci si incontrava ogni domenica quando marito e moglie partecipavano alla messa. Fu lì che ci incontrammo e lo conobbi, di persona, la prima volta. Poi la sua malattia non gli permise più di venire a Montebonello e fu allora che andai a fargli visita più di una volta nella sua casa fiorentina. Potevo quasi toccare con mano il lento aggravarsi della sua malattia, il suo parlare con i sorrisi, con monosillabi, con una carezza, le sue ultime pubblicazioni, i suoi ultimi articoli. Il corpo si andava lentamente consumando ed era solo memoria, ricordo vago, sensibilità, emozione suscitata anche da una sola parola, da un sorriso. Quel fisico gigante che ha sempre avuto diveniva quasi piccolo di fronte all’impotenza della malattia. Adesso che è (ci auguriamo) nella gloria di Dio, ripenso ancora di più ad alcuni suoi versi scaturiti e scritti di fronte al Crocifisso di Donatello nella chiesa di Bosco ai Frati del Mugello:Come tutte le volte anche stavolta/ Cristo è là, macerato nella carne/ non un membro che non abbia sofferto/ della morte lo spasimo/ per ricadere nella perfezione….

Sembrerebbe quasi una frase fatta l’affermazione che la poesia italiana è più povera con la morte di Parronchi, ma è vera; e specialmente per chi non solo ha letto i suoi versi ma ha potuto constatare la bontà di un uomo e la fede di un cristiano. Ogni volta che andavo a fargli visita, la moglie Nara diceva: preghi per noi, preghi per noi…

La schedaAlessandro Parronchi è morto la mattina del 6 gennaio, festa dell’Epifania, nella sua abitazione a Firenze.Illustre poeta e noto storico e critico d’arte, aveva compiuto 92 anni il 26 dicembre scorso. Parronchi è stato tra i massimi studiosi di Michelangelo (il suo libro più celebre è intitolato Studi sulla dolce prospettiva) ed è stato tra i protagonisti della storia dell’ermetismo fiorentino assieme a Mario Luzi e a Piero Bigongiari.

La sua vasta produzione poetica in versi è stata raccolta in due volumi, Le poesie, editi nel 2000 da Polistampa Firenze. Parronchi lascia la moglie Nara e due figlie, Rosa e Agnese.

I funerali si sono svolti lunedì 8 gennaio nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze. Poesia «malinconica e triste» quella di Alessandro Parronchi, come lo stesso autore fiorentino la definiva aggiungendo, con una punta di amarezza, che «oggi la tristezza non è ammessa». Eppure, nella storia letteraria italiana, Parronchi, che era anche critico d’arte e docente universitario, ha mantenuto un ruolo di primo piano. Protagonista di quel gruppo di «ermetici» che tra il 1930 e il 1945 si riunirono in una vera scuola con l’intento di fare poesia lontano dal contingente e in una ricerca continua nel profondo dell’inconscio, l’autore fiorentino si allontanò in seguito da quell’origine cercando strade nuove e personali.

Nato a Firenze nel 1914, Parronchi apparteneva ad una famiglia di notai, lo erano sia il padre, sia il nonno. Ma il giovane Alessandro, dopo il liceo classico, si indirizzò verso gli studi letterari laureandosi in storia dell’arte nel 1938. Cominciò quasi subito la sua attività collaborando con giornali e riviste d’avanguardia e avvicinandosi, in una Firenze all’epoca protagonista del dibattito e della produzione culturale italiana ed europea, al «club» di poeti che furono annoverati nella corrente dell’ermetismo fiorentino o secondo ermetismo: Mario Luzi, in primo luogo, e poi Piero Bigongiari, Alfonso Gatto, Carlo Betocchi, Luigi Fallacara, Carlo Bo, Franco Fortini, Oreste Macrì.

In quel clima culturale, nasce la prima raccolta di poesie di Parronchi I giorni sensibili, pubblicata nel 1941. In seguito, la sua scrittura abbandona i criteri dell’ermetismo per percorrere strade del tutto personali le cui radici affondano nella letteratura dell’esistenzialismo cristiano e nei classici della poesia italiana. Tra i titoli più famosi, Per strade di bosco e città (1954), Coraggio di vivere (1961) e Quel che resta del giorno del 2001, anno in cui Parronchi ricevette il premio di poesia «Dino Campana».

Non meno intense e appassionate sono state la sua attività come storico dell’arte e il suo rapporto con poeti, artisti e scrittori del ‘900 italiano, tra i quali spiccano Vasco Pratolini (da ricordare il carteggio dei due intellettuali in cui viene raccontata la vita, le gioie e i dolori d’una generazione passata attraverso il fascismo e la Resistenza).

Per anni ordinario di Storia dell’arte medioevale e moderna, Parronchi ha scritto molte monografie scientifiche – era considerato uno dei massimi esperti di Michelangelo e Donatello – e intrecciò solidi rapporti con i maggiori artisti del ‘900, da Ottone Rosai a Guido Borgianni, Sergio Scatizzi, Venturino Venturi e Mario Marcucci.

L’ineditoLa signora Nara, moglie di Alessandro Parronchi, ci ha fatto avere, per offrire ai lettori di Toscanaoggi, questa poesia inedita che il marito aveva da poco composto e corretto (mancava solo il titolo) e che andrà a far parte di un volume che si presume possa uscire nell’avversario della morte del poeta. Da tanto la sorgente è inariditae non butta più acqua.La fonte è secca da anni, corrosa,e terra vi s’incrosta, erba vi cresce.Ci s’è fatta abitudine, quel crettonel sasso non significa più nulla. Ma torneranno a bagnarsi le labbra.Risgorgherà l’acquain luccicante torrentello, filtrodella luce più pura.Nel compatto obliodi me e di tutto quanto m’è dintornoaspetta il giornoin cui riaffiori inconsapevolmentein cospetto alla morte il dolce nome.Alessandro Parronchi