di Riccardo BigiOgni anno, a settembre, le oltre duemila parrocchie toscane riprendono le loro attività. Ogni anno con l’entusiasmo di un cammino che riparte e con le energie accumulate durante l’estate, ma anche con il timore che tante fatiche spese per portare avanti la vita parrocchiale diano pochi frutti. Da tempo la Chiesa italiana si interroga sul «modello parrocchia», se questa forma di presenza della Chiesa sul territorio sia adeguata ai tempi o se debba cambiare per rispondere alle nuove esigenze. Domande che giriamo a monsignor Gaetano Bonicelli, per dodici anni arcivescovo di Siena e oggi presidente nazionale del Cop, Centro di Orientamento Pastorale.Monsignor Bonicelli, partiamo con una domanda diretta: ha ancora senso oggi la parrocchia?«Tutti sanno che negli anni passati ci sono state molte discussioni. Ad alcuni sembrava che la parrocchia fosse, per così dire, un genere ecclesiale ormai superato: aveva fatto tutto il bene che poteva fare ma oggi era inadeguata alla società moderna. Questo fino a pochi anni fa, perché oggi gli stessi che accusavano la parrocchia di essere una realtà superata, e penso a studiosi, sociologi, osservatori dei fenomeni religiosi, sono i primi a dirci per carità, mantenete la parrocchia! È una delle poche realtà ancora capaci di aggregare la gente, e quindi di dare un significato alla vita. Se questo vale sul piano sociologico, tanto più evidentemente sul piano ecclesiale. Cos’è la Chiesa, se non una comunità? E dove si fa esperienza di comunità cristiana se non in parrocchia? Certo, c’è la comunità universale che diventa evidente nelle grandi celebrazioni, quando la Chiesa intera si raduna intorno al Papa. Ma la comunità è fatta anche di rapporti quotidiani, abituali, e si costruisce in un ambiente piccolo dove la gente si conosce, si può magari scontrare ma cerca di costruire qualcosa insieme. In questo senso si può dire senz’altro che oggi c’è un recupero del senso e della funzione della parrocchia»La parrocchia, siamo d’accordo, serve ancora. Ma non deve in qualche modo trasformarsi per rispondere alle esigenze nuove?«Certo, rivalutare la parrocchia non vuol dire accettare una realtà che poteva andar bene mille anni fa. La parrocchia realizza la sua funzione di Chiesa, segno della presenza del Signore e perciò luogo ideale per l’educazione cristiana, a determinate condizioni che cambiano con il cambiare dei tempi».Quali sono, oggi, queste condizioni?«Prima condizione: ci sono parrocchie troppo piccole che non riusciranno mai a fare mentalità, perché oggi basta accendere la televisione e siamo in contatto con il mondo, non ci si può accontentare di visioni ristrette. Ci sono parrocchie troppo vaste, dove è impossibile fare esperienza di comunità. Ecco la necessità di correttivi pastorali, che in questi anni sono stati fatti: ad esempio con la creazione di un dinamismo interno alle parrocchie, oppure tra parrocchie vicine, fatto di gruppi, di famiglie che si ritrovano». Accanto a questi problemi di ordine pratico ce ne sono altri, legati alla società in cui oggi la parrocchia opera.«E infatti la seconda condizione è che, se la parrocchia è fatta di Parola di Dio e di sacramenti, oggi ancora di più deve tornare sulla strada dell’evangelizzazione. Anche quelli che nominalmente fanno parte della parrocchia, oggi vivono staccati dal Vangelo: le idee che penetrano tra le persone non sono quelle della predica ma sono quelle della televisione, dei giornali, della cultura corrente». Come si affronta questa situazione? «La domanda è: come recuperare la funzione originaria della parrocchia? Perché non bisogna dimenticare che la parrocchia è nata nel Trecento, nel Quattrocento come realtà di evangelizzazione, per portare il Vangelo nei borghi rurali. Poi, quando si è stabilizzata un’appartenenza universale alla Chiesa, la parrocchia si è seduta per gestire la rendita. Oggi le resta poco da gestire se non si muove. Facile a dirsi, mi rendo conto, ma difficile a farsi: i problemi da affrontare sono tanti».Ci faccia qualche esempio…«Primo problema: basta la catechesi tradizionale? Il rischio è che oggi la catechesi, anche dove è fatta bene, non raggiunga più il suo obiettivo. La catechesi ha bisogno di una base, e la base erano le idee fondamentali che la famiglia trasmetteva. La famiglia, la scuola, la comunità: oggi questa base non c’è più».Eppure, da un punto di vista numerico, l’organizzazione tradizionale funziona ancora, i bambini e ragazzi che frequentano il catechismo sono moltissimi…«Questo rende il discorso ancor più delicato: l’impianto delle nostre parrocchie è qualcosa di storico, che ha meriti mirabili e radici profonde. Oggi però non basta più: bisogna che insieme alla catechesi, o prima della catechesi, ci sia un’opera di primo annuncio, di evangelizzazione. C’è una trasformazione da fare nei preti, nei catechisti, nelle famiglie… Questi sono i grossi problemi che le parrocchie devono affrontare. Viva la parrocchia, ma guai a chiudersi in visioni superate».Un aspetto su cui la Chiesa italiana sta puntando molto è il coinvolgimento delle famiglie. Come fare?«Su questo punto siamo già in ritardo, forse si doveva agire anni fa per aiutare le famiglie a sentire di più la loro responsabilità. Oggi si deve agire andando incontro alle persone. Un esempio: sono sempre più i genitori non sposati, o separati, che chiedono il battesimo dei figli. Che si fa? Ci sono ragioni soprannaturali che ci spingono a pensare che il battesimo sarà comunque un bene per il bambino; allo stesso tempo si deve pensare a quale formazione cristiana riceverà. Non ci sono ricette generali: si deve valutare caso per caso tenendo conto, ad esempio, di quanto potranno fare i nonni o di chi sono i padrini, che hanno la responsabilità dell’educazione cristiana. E si deve sperare che il bambino, come tante volte è successo, sia elemento unificante e responsabilizzante per la coppia».Poi c’è il problema dei preti che sono pochi, anziani, sfiduciati…«I preti devono essere incoraggiati, e invitati a trovare buoni collaboratori. Questo richiede pazienza e fiducia: ci vorrà tempo, dovremo lasciar passare probabilmente ancora una generazione per vedere in maniera diffusa laici in grado di assumersi responsabilità sempre più grandi all’interno delle parrocchie. Ma è una prospettiva alla quale guardare con fiducia e speranza».