Opinioni & Commenti
Parrocchie e Caritas: quando l’onorevole Cè… non c’è
L’intervento è risultato offensivo di uno stile di accoglienza, di cui le nostre Caritas quotidianamente danno prova (e non solo a favore degli extracomunitari) alleggerendo il Governo, di cui l’onorevole Cè fa parte, da problemi e doveri non indifferenti. Per quest’opera il minimo che ci si potrebbe attendere sarebbe un bel grazie, anche se i volontari della Caritas non ne hanno bisogno per il loro impegno quotidiano.
Le reazioni che si sono udite dentro e fuori l’aula parlamentare, sia nelle file della maggioranza che dell’opposizione, hanno abbondantemente evidenziato l’insulsaggine dell’intervento dell’On. Cè. Ma le idee dell’onorevole non sono isolate. Come interpretare un simile comportamento? Si affacciano diverse possibilità. Una goliardata? Una… sparata in ossequio alle… cannonate del Segretario del suo partito? Mal si concepisce che in Parlamento siedano persone che aprono bocca e lasciano andare, senza pensare a quello che dicono. I parlamentari però sono anche il frutto del nostro voto e del nostro vuoto. Bossi e i suoi non sono nuovi a simili esternazioni e c’è da aspettarsi per il futuro ulteriori sparate che tuttavia non ci scalfiscono.
Qualcuno avanza l’ipotesi che con il polverone sollevato la Lega voglia salvare un ministro, inviso in parte anche alla maggioranza. Tutto è possibile, ma sarebbe meschino ricorrere a certi mezzucci e non a quella dialettica interna che dovrebbe animare i dibattiti di una coalizione. L’ipotesi più preoccupante è che l’onorevole Cè difetti di quel pizzico di intelligenza, di cui si pensa che sia dotato, al di là o al di qua degli schieramenti, ogni parlamentare. Essere parlamentare non è però di per sè abilitante all’uso dell’intelligenza. I motivi a supporto di questa ipotesi sono vari.
Prima di tutto l’onorevole non conosce, come è facile immaginare, né la parrocchia né la Caritas e parla, come si suol dire, a vanvera. Perché l’on. Cè non apre, alla stessa maniera della Caritas, il suo ufficio (anche solo venti minuti tre volte la settimana) per ascoltare italiani ed extracomunitari e conoscere la realtà… reale, effettiva? Agli inizi del mese di aprile la Caritas Diocesana ha celebrato il suo primo Convegno, dove sono stati presentati i dati dell’Osservatorio diocesano delle povertà. Ne abbiamo dato conto su queste pagine del settimanale. Vi è una varietà di situazioni, di bisogni, di miserie (che danno fra l’altro un quadro molto disincantato dell’Italia, sesta o settima potenza industriale del mondo), a cui fa riscontro un quadro fatto di generosità e di iniziative delle Caritas e delle parrocchie. L’Osservatorio dimostra che non ci sono solamente extracomunitari, ma molti italiani, che chiedono egualmente pane, lavoro e dignità. Non c’è bisogno di oltrepassare il mare per trovare poveri: ci sono anche in casa nostra. Di questi si occupano la Caritas e i cristiani. Di questo si preoccupano i volontari, che si mettono al servizio di tutte le povertà, ad ascoltare prima di tutto, a sentire le esigenze, e poi si rimboccano le maniche, per dare da mangiare, vestiti, aiutare nei ricongiungimenti, trovare casa e lavoro… Di gente come l’onorevole Cè, neppure l’ombra.
Stranamente in questa occasione si ripete il copione dell’anno passato a proposito della Mensa Caritas a Montecatini, che fu accusata da alcuni di essere diventata il ricettacolo dei peggiori soggetti della città. La Mensa nacque anni fa, d’accordo con il Pronto soccorso, perché c’erano i poveri: non è la Mensa che li ha creati. Non sono le Caritas che creano le povertà, ma gente come l’onorevole Cè che sostiene la prima ragione della povertà: la paura dell’altro. Che ci debbano essere regole, nessuno lo nega, ma questa fobia di sentirsi assaliti, distrutti dal diverso, è veramente patologica. Le Caritas italiane non sono solite fare distinzione fra i poveri, fra clandestini e non, fra italiani ed extracomunitari. Se lo stesso onorevole sostiene che le Caritas sono «agenzie di collocamento dei clandestini», sappia che gli imprenditori, proprio al Nord, chiedono al governo di riaprire e di aumentare i flussi degli extracomunitari, perché c’è bisogno di mano d’opera e proprio in settori, come ha osservato il Ministro Pisanu, dove gli italiani rifiutano di rendersi disponibili. C’è infine un’ultima motivazione, che si intravede in filigrana nello sgangherato sfogo anticattolico dell’on. Cè: lo spirito e lo stile neopagano, la pittoresca liturgia celtica (!?), di cui la religione leghista ha bisogno di circondarsi per infiammare i cuori e tenerli uniti. Finché dura.