Vita Chiesa
«Parrocchie aperte e Chiesa in uscita». Monsignor Sigalini (Cop): «Ci vuole creatività»
«A me fa male al cuore quando vedo un orario, nelle parrocchie: ‘Dalla tal ora alla tal ora’. E poi? Non c’è porta aperta, non c’è prete, non c’è diacono, non c’è laico che riceva la gente…». Le parole di Papa Francesco, domenica, nella celebrazione per il giubileo dei diaconi, richiamano ancora una volta l’attenzione di tutta la Chiesa sul senso del servizio che essa è chiamata a svolgere nel nostro tempo. Perché di questo si tratta. «Chi serve non è schiavo dell’agenda che stabilisce… è disponibile al non programmato… sa aprire le porte del suo tempo e dei suoi spazi a chi gli sta vicino e anche a chi bussa fuori orario…», ha detto ancora il Papa. E in Italia com’è la situazione? Le nostre comunità sono pronte a raccogliere questa sfida nella concretezza del loro vissuto?
«La situazione è veramente molto varia», spiega monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Cop (Centro di orientamento pastorale). «Ci sono parrocchie che sanno davvero essere presenti in maniera concreta nella vita delle persone, altre che ci stanno provando, altre che non riescono o fanno fatica».
Il tema degli orari è un tema molto preciso, ha un valore simbolico ma anche una sua effettività che non si può aggirare.
«Pensi a quanto stiamo tribolando intorno all’utilità di celebrare la messa alle 21. Eppure, e mi riferisco anche alla situazione della mia diocesi, le persone o le incontri la mattina molto presto prima che vadano al lavoro o la sera tardi, oppure non le prendi più. In questa linea so che stanno avendo un buon successo le esperienze di celebrazioni per fidanzati nella tarda serata della domenica. Non possiamo dedicarci solo a quelle quattro o cinque persone che vengono in chiesa tutti i giorni. Meritano tutta la nostra cura, ma dobbiamo pensare anche agli altri».
E allora perché in tante parrocchie è così difficile tenere la porta aperta oltre gli orari tradizionali?
«Molto dipende dal fatto che siamo ossessionati dai ladri, che si portano via di tutto, mi creda. Ma ci sono anche esperienze positive. Mi riferisco per esempio alla diffusione che stanno avendo le iniziative di adorazione continua, spesso anche di notte. Soprattutto bisogna tenere presente che non ci sono soltanto la chiesa parrocchiale o la casa canonica. La necessità per le nostre comunità di essere aperte e accoglienti si può esprimere anche attraverso altre realtà come le Caritas o gli oratori. Questi ultimi, come altre esperienze diffuse nelle regioni dove gli oratori non ci sono o sono scarsamente presenti – dai caffè letterari alle filodrammatiche – modulano i loro orari su quelli dei giovani, per i quali la notte ha un significato diverso che per gli adulti. Non dimentichiamoci, poi, che lo stesso Papa Francesco ci chiede in modo pressante di «uscire» ed è sempre più vero che le parrocchie non possono accontentarsi di aspettare le persone, ma devono andarle a cercare lì dove vivono».
Ci sono iniziative da segnalare in questa prospettiva?
«Mi vengono in mente quelle che vengono messe in pratica per incontrare i giovani nei luoghi del divertimento. A me sembra molto bello che anche nelle scuole possa esserci un prete a disposizione per chi vuole. Non mi sfuggono le problematiche connesse a questo tipo di presenza, ma ci sono dei prèsidi che lo consentono. Penso anche al grande riscontro che ha avuto l’idea di andare a recitare il rosario nelle case durante il mese di maggio. Ci vuole creatività e capacità di immedesimarsi con il popolo di cui il prete deve sentirsi parte. Bisogna saper cogliere le occasioni che ciascuna situazione offre. Dalle mie parti si vive molto in funzione di Roma, dove la maggior parte delle persone va a lavorare, e allora i miei preti al mattino presto vanno nelle stazioni a salutare chi parte».
Insomma, c’è ancora molto da fare ma qualcosa si muove…
«La Chiesa italiana è una Chiesa di popolo e questo il Papa lo sa e lo apprezza. Ma non c’è dubbio che dopo i suoi interventi si sono liberate molte più energie. Ci stavamo un po’ addormentando. Purtroppo siamo pieni di pratiche burocratiche e il rischio anche per i preti di timbrare il cartellino è sempre in agguato».