Una grande lezione di sport, uno spettacolo di folla entusiasmante, un esempio di come organizzazione e valori diano ancora alle Olimpiadi un valore speciale, diverso da qualsiasi altro evento agonistico. Le Paralimpiadi che si sono concluse da qualche giorno a Londra ci hanno davvero riconciliato con il mondo dei Cinque Cerchi, ogni tanto appannato o offuscato dallo strapotere di sponsor e tv, da atleti che si credono Superman e da atteggiamenti divistici scopiazzati dal mondo hollywoodiano. In questa occasione invece abbiamo rivisto la faccia pulita dello sport, sgombra finalmente di ogni ipocrita pietismo, concentrata sulle gare e sul messaggio che tanti ragazzi e ragazze hanno voluto dare ai loro coetanei: nonostante le difficoltà, noi siamo qui a lottare anche per voi, nessuno deve arrendersi a un handicap fisico, la vita va sempre affrontata a viso aperto e al massimo delle proprie possibilità.Due gli aspetti che hanno reso memorabile questa edizione londinese: l’incredibile numero di medaglie piovute sulla spedizione azzurra e la fantastica partecipazione di un popolo, quello inglese, che ha tifato e riempito tutti gli stadi all’inverosimile. Per quanto riguarda gli allori azzurri, parliamo di 28 medaglie, un bottino impensabile alla vigilia che mantiene l’Italia tra le prime dieci potenze sportive, con un salto in avanti notevole rispetto all’edizione cinese: a Pechino infatti arrivarono 18 medaglie, di cui solo quattro ori (4-7-7 fu il bilancio finale), a Londra siamo arrivati appunto a 28 podi, di cui ben nove d’oro (9-8-11 il bilancio complessivo). A far la parte del leone, i tre sport da sempre nel nostro Dna: un ciclismo stratosferico con 10 medaglie (4-3-3), seguito a ruota da nuoto (7) e atletica (6), a Pechino rimasti addirittura a digiuno.Alex Zanardi, ex asso dell’automobilismo, reiventatosi ora campione di ciclismo, è l’emblema di questo movimento, che anche a livello di Coni, con la guida di un determinatissimo segretario generale, Raffaele Pagnozzi, sta cercando di bruciare le tappe, per permettere a più giovani di realizzare il sogno olimpico. Proprio Zanardi ha spiegato quella che può essere la filosofia per tanti ragazzi definiti “diversamente abili”. “Nell’immaginario collettivo – ha detto Alex – un uomo senza gambe è destinato a stare a casa davanti alla tv. Nel mio caso non è stato assolutamente così e, ho continuato a fare le stesse cose che facevo prima: se io riesco a fare quello che vedete è perché un sistema esiste. Non avrei mai scoperto simili opportunità se non fossi stato vittima dell’incidente che ho avuto. Vittima, poi, è una parola che può essere trasformata nel corso della vita, perché di cose belle ne sono successe così tante quasi ad arrivare a dire che quell’incidente è diventato un’opportunità”. Ma non c’è solo il pur rilevante aspetto competitivo: c’è la contagiosa euforia di un popolo che si è stretto attorno a questi atleti e che ha fatto registrare il tutto esaurito in ogni gara. “Lo spettacolo più sorprendente – ha commentato Pietro Barbieri, presidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) – si è visto per le strade, fra la gente, alle fermate d’autobus e nell’osservare un’organizzazione che non punta solo a una buona logistica, ma anche a trasmettere un messaggio culturale”. A questo punto sarebbe delittuoso spegnere i riflettori su questa realtà. Anzi, proprio questi risultati incoraggianti dovrebbero obbligare il nostro Stato a rivedere i risicatissimi budget legati a sport e disabilità, contribuendo a cambiare una sensibilità ormai desueta, che confina questi ragazzi ai margini della vita, una vita di cui sono assoluti protagonisti: lo hanno dimostrato, a suon di medaglie.