Lettere in redazione
Parafarmacie boicottate dalle lobby
Le parafarmacie sono esercizi dove è possibile reperire farmaci da banco, alla presenza di un farmacista e si sono estese a macchia d’olio nel nostro territorio. Fin dalla loro nascita sono state osteggiate dal sistema di distribuzione del farmaco governato in un assurdo monopolio tutto italiano dalle associazioni di farmacisti titolari.
I grossisti che ci riforniscono di medicinali applicano alle parafarmacie un prezzo molto più alto di quello applicato alle farmacie, al solo scopo di scoraggiare il nostro lavoro, in alcuni casi si rifiutano di rifornirci minacciati dalla perdita di clienti più illustri.
Le regioni continuano a delegare sempre più servizi alle farmacie, mentre si rifiutano di sfruttare le parafarmacie come canali di diistribuzione di servizi importanti come il CUP, l’assistenza ai celiaci, ai diabetici, ai malati cronici. Si rifiutano di incaricarci della «distribuzione per conto» di farmaci ospedalieri,anche se ciò avrebbe un costo zero per le ASL e un vantaggio incredibile per i cittadini anche in zone non coperte dalle farmacie.
Ogni giorno respingiamo le richieste dei nostri pazienti e siamo mortificati nell’esercizio della nostra professione, pur essendo obbligati a pagare le tasse riservate ai titolari di farmacia.
A giorni sarà discusso in senato un disegno di legge firmato da Gasparri e Tomassini, che mira al riordino del sistema farmaceutico. Nel ddl è inserita la proposta di riportare il farmaco all’interno della farmacia, che si configura come unico canale distributivo. Ebbene, noi siamo d’accordo! Poiché la legge Bersani è stata incompiuta ed incompleta, anche le parafarmacie chiedono che si abbandoni questo binario morto, chè è stato sfruttato unicamente dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo) e dalle associazioni dei consumatori per promettere sconti che oggi nessuno è in grado di garantire. I farmacisti titolari di parafarmacia riuniti in Omnisalus (che intendono distinguersi dalla Gdo, dalle catene di parafarmacie e dagli imprenditori), chiedono quindi di essere riassorbiti nel sistema farmaceutico con una immediata trasformazione in farmacie. Ciò consentirebbe allo stato una capillarizzazione dei servizi a costo zero, la creazione di nuovi posti di lavoro e una presenza più assidua dell’assistenza farmaceutica. I cittadini sono stufi di fare le file davanti agli sportelli, come davanti al banco del farmacista.
In effetti il decreto Bersani (convertito nella legge n. 248 del 4 agosto 2006), pur partendo da un principio ampiamente condivisibile (combattere i monopoli), non è riuscito a liberalizzare davvero il settore, pur avendo fatto nascere le «parafarmacie». Adesso c’è in discussione questo disegno di legge Gasparri-Tomassini, di riorganizzazione complessiva del settore farmaceutico, sul quale mi sembra di capire che la categoria è divisa. C’è chi, come la nostra lettrice e Omnisalus (che però è un’organizzazione minoritaria) è d’accordo, puntando ad una sorta di «sanatoria» che riconduca le parafarmacie a delle vere farmacie, e chi invece, come la Fef (Federazione esercizi farmaceutici) e il Mnlf (Movimento nazionale liberi farmacisti) ritiene al contrario che se il ddl venisse approvato, comporterebbe «la chiusura di oltre 2.750 aziende aperte dal 2006 e la perdita di 5 mila posti di lavoro». In effetti la proposta di cui si sta discutendo in questi giorni al Senato (relatore D’Ambrosio) prevede che il farmaco sottoposto a ricetta o di particolare rilevanza chimica sia di competenza esclusiva delle farmacie. Francamente non capisco perché, dal momento che il titolare di una parafarmacia deve essere laureato esattamente come il farmacista.