Vita Chiesa

Papa negli Emirati Arabi Uniti. Patton (Custode): «Nello spirito dell’incontro di Damietta tra san Francesco e il Sultano»


Ottocento anni dopo l’incontro tra san Francesco e il sultano Malik al Kamil, avvenuto a Damietta, in Egitto, nel 1219, Papa Francesco, sarà dal 3 al 5 febbraio negli Emirati Arabi Uniti, primo pontefice della storia a mettere piede nella Penisola arabica, culla dell’Islam.





Un evento richiamato dallo stesso tema della visita apostolica, vale a dire l’invocazione del Santo di Assisi, «Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace». «Mentre infuriava la Quinta Crociata e sembrava che l’unico linguaggio possibile fosse quello delle armi – dice al Sir il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton -

 Francesco d’Assisi attraversa le linee di guerra e supera la logica dello scontro di civiltà in atto, seguendo semplicemente la divina ispirazione che lo porta a credere nella possibilità dell’incontro fraterno con ogni creatura». 



Con lo stesso spirito Papa Francesco si appresta, adesso, a compiere questo storico viaggio: «la fede in Dio unisce non divide, avvicina pur nella distinzione, allontana dall’ostilità e dall’avversione». Mai come adesso vale quanto scritto su quell’incontro di 800 anni fa con il Sultano: «a Damietta il Vangelo si incontrò con il Corano e il Corano con il Vangelo».

Lunedì Papa Francesco incontrerà privatamente nella Grande moschea di Abu Dhabi i membri del Muslim Council of Elders e parteciperà all’incontro interreligioso sulla «Fratellanza umana» con 700 leader religiosi, tra cui il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayeeb che accompagnerà il Pontefice in diversi momenti del viaggio.





Padre Patton, Papa Francesco, 800 anni dopo san Francesco, testimone di dialogo e di pace nella penisola arabica, la culla dell’Islam. Un paragone che regge?

«Certamente, regge e non da oggi. Sono stato nel 2017 in Egitto, pochi giorni prima la visita apostolica di Papa Francesco, e già allora mi capitò di vedere degli striscioni di benvenuto che mettevano in relazione l’incontro tra San Francesco e il sultano Malik al Kamil con quello del Papa e il presidente Al Sisi. Questo del Pontefice assume una particolare rilevanza perché avviene nella Penisola arabica dove per secoli il Cristianesimo era scomparso e senza possibilità di esprimersi e non in un Paese come l’Egitto che ha una riconosciuta e consistente presenza cristiana e tante chiese».





Il messaggio di San Francesco, dopo 800 anni, continua a mostrare tutta la sua validità e oggi cammina con le gambe di un Pontefice che non a caso porta il nome del Santo di Assisi. Che viaggio sarà, allora questo di Papa Francesco?

«È un viaggio significativo quello del Papa che va nello spirito dell’incontro di Damietta di 8 secoli fa.
San Francesco ha dimostrato in piena Quinta Crociata che era possibile il dialogo, l’incontro e l’amicizia tra un cristiano e un musulmano.
Credo sia importante ricordarlo. In questo anno appena cominciato, come Custodia di Terra Santa, stiamo organizzando eventi che facciano conoscere l’incontro tra Francesco e il Sultano ai musulmani. La settimana scorsa nella nostra scuola a Betlemme abbiamo coinvolto, in un laboratorio durato sette giorni, studenti cristiani e musulmani che hanno elaborato un decalogo dell’amicizia. Si tratta di un’esperienza da valorizzare e coltivare in tutte le nostre scuole».



Dalla Penisola arabica giungono da tempo segni di apertura…

«In questi ultimi anni si sono visti dei segnali interessanti: penso al viaggio del presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, card. Jean-Louis Tauran, nell’aprile del 2018, in Arabia Saudita dove ha incontrato il re Salman bin Abdulaziz Al Saud, prima volta che un sovrano saudita incontrava un’autorità cattolica di alto livello; adesso questo meeting interreligioso internazionale sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, al quale è stato invitato anche il Papa e, fatto non meno importante, la messa nello Zayed Sports City Stadium di Abu Dhabi che permetterà ai cattolici di esprimersi nella forma più alta, la celebrazione dell’Eucarestia».



Cosa significa celebrare una Messa all’aperto, in un luogo pubblico, nella Penisola arabica?

«Si tratta di una grande apertura e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa cui parteciperanno decine di migliaia di cattolici avrà un’enorme risonanza in tutta la penisola arabica dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede.

Credo che sia anche un segno di quella reciprocità che tante volte noi abbiamo invocato – qualche volta per difenderci – e che invece comincia ad essere accolta».



Dunque se il Cristianesimo torna a fiorire nella Penisola arabica è grazie ai migranti?

«Nei migranti cattolici e cristiani io vedo la mano della Provvidenza che sta aiutando la Chiesa a rinascere e in qualche caso a risvegliarsi. Il caso della Penisola arabica è particolarmente significativo: qui il Cristianesimo era scomparso da secoli e adesso, grazie ai lavoratori immigrati stranieri rinasce. E non solo in queste terre…

».

Che intende dire?



«Questo vale anche per i Paesi Occidentali di antica Cristianità che si sono assopiti spiritualmente e che potrebbero sperimentare una grande ricchezza e beneficio nell’accogliere come fratelli e integrare nella comunità lavoratori migranti cristiani.

So di nostri cristiani fuggiti dalla Siria che arrivando in alcuni Paesi europei hanno ridato un senso e stimoli alle comunità che li hanno accolti. 

Basti pensare a come la prima comunità si è allargata nel bacino del Mediterraneo grazie anche quel ‘fabbricatore di tende’ che era san Paolo, un lavoratore migrante, straniero, nell’Impero Romano».