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«Papa Luciani», quando la finzione non rende la realtà

di Alberto MigoneNon credo sia stata soltanto la «dolcezza a fare audience». Penso piuttosto che il grande successo dello sceneggiato Papa Luciani, il sorriso di Dio – più di 10 milioni gli spettatori – sia dovuto, come è stato scritto, «ad una sensibilità del pubblico alla rivisitazione di figure positive che hanno lasciato una forte testimonianza di bene». Figure che non appartengono necessariamente all’ambito religioso: anche l’impegno civile colpisce, se è vissuto con dedizione e coerenza. Quando la tv ha il coraggio di cogliere questa sensibilità, presentando personaggi, soprattutto se a noi vicini nel tempo, che incarnano ideali e valori, il successo è assicurato, a riprova che una produzione di qualità può essere vincente anche sul piano dell’audience.Ma cosa ha colpito nella vicenda umana e spirituale di Albino Luciani? Certo la grande bontà che sa farsi mitezza, carità operosa, capacità di ascoltare e comprendere. Tutte caratteristiche, queste, storicamente documentate, anche se non le uniche, perché Luciani, Patriarca di Venezia, fu anche uomo di grande fermezza. Tutto però si radicava e scaturiva da una fede profonda, vissuta come un continuo affidarsi al Signore anche, e soprattutto, quando porta su vie che non vorremmo percorrere.Questa dimensione – che credo abbia colpito anche i non credenti – è emersa bene nello sceneggiato. E non era facile perché poteva scadere nel dolciastro. Non è avvenuto e non è poco merito.

Detto questo, però, alcune puntualizzazioni si impongono. Nella seconda parte, incentrata sul Conclave che elesse Luciani e sui trentatré giorni del suo pontificato, tutta la narrazione si è modulata su uno schema abusato e molto di moda: il Papa «buono» e «innovatore», circondato da una Curia «cattiva» e «chiusa» nella difesa dei propri privilegi, che fa di tutto, ma proprio di tutto, per neutralizzarlo… e ci riesce.

Ora noi sappiamo bene che nella Chiesa – come in ciascuno di noi – il grano e la zizzania ci saranno fino alla fine, ma qui la contrapposizione è così volutamente marcata che finisce per essere irreale, oltre che ingiusta e può disorientare – ed è avvenuto – quegli spettatori meno provveduti sul piano storico.

È importante quindi ricordare che questa – come ogni altra fiction – è pur sempre un «misto di storia e invenzione» e non dobbiamo attribuirle il compito che non ha né può avere: offrirci cioè un’accurata ricostruzione storica, soprattutto quando si tratta di una realtà così ricca e complessa com’è la Chiesa.

La fiction sul sito della Rai