Vita Chiesa
Papa in Terra Santa: Messa a Betlemme, «Non più conflitto ma fraternità»
«Anche oggi – ha sottolineato – i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno «diagnostico» per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano». Il Pontefice ha ricordato «un segno concreto della bontà di Dio, un segno concreto che la società migliora»: «l’opera che svolge l’Istituto Effetà Paolo VI in favore dei bambini palestinesi sordo-muti». Come il Bambino di Betlemme «è fragile», «è debole e ha bisogno di essere aiutato e protetto», così «anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno». Purtroppo, ha notato il Santo Padre, «in questo nostro mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali».
«Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti – ha denunciato Francesco -. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino». Poi il Papa ha posto una serie di domande per fare un esame di coscienza: «Chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Chi siamo noi davanti ai bambini di oggi? Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole eliminarlo? Siamo come i pastori, che vanno in fretta, si inginocchiano per adorarlo e offrono i loro umili doni? Oppure siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro? Siamo capaci di stare accanto a loro, di ‘perdere tempo’ con loro? Sappiamo ascoltarli, custodirli, pregare per loro e con loro? O li trascuriamo, per occuparci dei nostri interessi?».
Forse quel bambino, che è il segno dato a noi da Dio, «piange. Piange perché ha fame, perché ha freddo, perché vuole stare in braccio…». Anche oggi, ha notato il Pontefice, «piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili». Non solo: «In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele: piangono i loro figli, e non vogliono essere consolate». Dunque, «il Bambino Gesù nato a Betlemme, ogni bambino che nasce e cresce in ogni parte del mondo, è segno diagnostico, che ci permette di verificare lo stato di salute della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra nazione». E il Santo Padre ha concluso: «Da questa diagnosi schietta e onesta, può scaturire uno stile nuovo di vita, dove i rapporti non siano più di conflitto, di sopraffazione, di consumismo, ma siano rapporti di fraternità, di perdono e riconciliazione, di condivisione e di amore».
In preghiera silenziosa davanti al Muro. Papa Francesco, ieri mattina, nel percorso dal palazzo presidenziale di Betlemme a piazza della Mangiatoia, dove di lì a poco avrebbe celebrato la messa, è sceso dalla jeep, si è avvicinato al muro di divisione tra Betlemme e Israele e vi ha sostato davanti, raccogliendosi in preghiera per qualche minuto. Al termine della preghiera, il Santo Padre si è quindi appoggiato al muro con la fronte.