Vita Chiesa

Papa in Romania: a Sinodo ortodosso, non cedere a «paura» e «cultura dell’odio»

«Vent’anni fa davanti a questo Santo Sinodo il Papa Giovanni Paolo II disse: ‘Sono venuto a contemplare il Volto di Cristo scolpito nella vostra Chiesa; sono venuto a venerare questo Volto sofferente, pegno di una rinnovata speranza’. Anch’io sono venuto qui, pellegrino desideroso di vedere il volto del Signore nel volto dei fratelli; e, guardandovi, vi ringrazio di cuore per la vostra accoglienza». Nelle prime parole pronunciate da Papa Francesco incontrando il Sinodo permanente della Chiesa ortodossa romena – dopo l’incontro privato con il patriarca Daniel, nella Sala Dignitas del Patriarcato – si è riannodato il «filo rosso» che, nel solco ecumenico, lega il Papa polacco al Papa argentino.

«I vincoli di fede che ci uniscono risalgono agli Apostoli, testimoni del Risorto, in particolare al legame che univa Pietro e Andrea, il quale secondo la tradizione portò la fede in queste terre», ha ricordato Francesco: «Fratelli di sangue, lo furono anche, e in un modo singolare, nel versare il proprio sangue per il Signore». «Essi ci ricordano che esiste una fraternità del sangue che ci precede e che, come una silenziosa corrente vivificante, lungo i secoli non ha mai smesso irrigare e sostenere il nostro cammino», il commento del Santo Padre. Poi, come nel primo discorso pronunciato nel palazzo presidenziale di Bucarest, il riferimento al tragico periodo della dittatura comunista: «Qui – come in tanti altri luoghi ai nostri tempi – avete sperimentato la Pasqua di morte e risurrezione: tanti figli e figlie di questo Paese, di varie Chiese e comunità cristiane, hanno subito il venerdì della persecuzione, hanno attraversato il sabato del silenzio, hanno vissuto la domenica della rinascita».

«Quanti martiri e confessori della fede!», ha esclamato il Papa: «Molti, di diverse confessioni, sono stati in tempi recenti l’uno accanto all’altro nelle prigioni sostenendosi a vicenda». «Il loro esempio sta oggi davanti a noi e alle nuove generazioni che non hanno conosciuto quelle drammatiche condizioni», l’invito: «Ciò per cui hanno sofferto, fino a offrire la vita, è un’eredità troppo preziosa per essere dimenticata o disonorata. Ed è un’eredità comune, che ci chiama a non prendere le distanze dal fratello che la condivide. Uniti a Cristo nella sofferenza e nel dolore, uniti da Cristo nella Risurrezione affinché ‘anche noi possiamo camminare in una vita nuova’», come si legge nella Lettera ai Romani.

«Il ricordo dei passi compiuti insieme ci incoraggia a proseguire verso il futuro nella consapevolezza – certamente – delle differenze ma soprattutto nell’azione di grazie di un’atmosfera familiare da riscoprire, nella memoria di comunione da ravvivare, che come lampada getti luce sui passi del nostro cammino». È uno sguardo propositivo, che si nutre della memoria per progettare il futuro, quello adottato dal Papa durante l’incontro con il Sinodo permanente della Chiesa ortodossa rumena. Rivolgendosi al patriarca Daniel, che aveva già abbracciato nel palazzo presidenziale, al termine del suo primo discorso del viaggio in Romania, e poco fa durante l’incontro privato al riparo dalle telecamere, Francesco è andato di nuovo col pensiero all’evento storico di 20 anni fa: «Beatitudine, caro Fratello, vent’anni fa l’incontro tra i nostri predecessori fu un dono pasquale, un evento che contribuì non solo alla rifioritura delle relazioni tra ortodossi e cattolici in Romania, ma anche al dialogo tra cattolici e ortodossi in generale. Quel viaggio, che per la prima volta un vescovo di Roma dedicava a un Paese a maggioranza ortodossa, aprì la via ad altri eventi simili». Poi «un pensiero di grata» memoria al patriarca Teoctist: «Come non ricordare il grido spontaneo ‘Unitate, unitate!’, che si levò qui a Bucarest in quei giorni? Fu un annuncio di speranza sorto dal Popolo di Dio, una profezia che ha inaugurato un tempo nuovo: il tempo di camminare insieme nella riscoperta e nel risveglio della fraternità che già ci unisce». «Camminare insieme con la forza della memoria», la consegna del Papa: «Non la memoria dei torti subiti e inferti, dei giudizi e dei pregiudizi, che ci rinchiudono in un circolo vizioso e portano ad atteggiamenti sterili, ma la memoria delle radici: i primi secoli in cui il Vangelo, annunciato con parresia e spirito di profezia, ha incontrato e illuminato nuovi popoli e culture; i primi secoli dei martiri, dei Padri e dei confessori della fede, della santità quotidianamente vissuta e testimoniata da tante persone semplici che condividono lo stesso Cielo». «Grazie a Dio le nostre radici sono sane e salde – il bilancio ecumenico di Francesco – e, anche se la crescita ha subito le storture e le traversie del tempo, siamo chiamati, come il salmista, a fare memoria grata di quanto il Signore ha operato in noi, a elevare a Lui un inno di lode gli uni per gli altri».

Non cedere al «senso dilagante di paura» e alla «cultura dell’odio», è l’invito del Papa. L’icona scelta da Francesco è quella dei discepoli di Emmaus: «Anche noi abbiamo bisogno di ascoltare insieme il Signore, soprattutto in questi ultimi tempi, nei quali le strade del mondo hanno condotto a rapidi cambiamenti sociali e culturali». «Dello sviluppo tecnologico e del benessere economico hanno beneficiato in molti – il grido d’allarme del Papa – ma i più sono rimasti inesorabilmente esclusi, mentre una globalizzazione omologante ha contribuito a sradicare i valori dei popoli, indebolendo l’etica e il vivere comune, inquinato, in anni recenti, da un senso dilagante di paura che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio». «Abbiamo bisogno di aiutarci a non cedere alle seduzioni di una ‘cultura dell’odio’ e individualista – l’appello del Santo Padre – che, forse non più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista, è tuttavia più suadente e non meno materialista. Essa presenta spesso come via di sviluppo ciò che appare immediato e risolutorio, ma in realtà è indifferente e superficiale».

«La fragilità dei legami, che finisce per isolare le persone, si ripercuote in particolare sulla cellula fondamentale della società, la famiglia, e ci chiede lo sforzo di uscire e andare incontro alle fatiche dei nostri fratelli e sorelle, specialmente i più giovani, non con scoraggiamento e nostalgia, come i discepoli di Emmaus, ma col desiderio di comunicare Gesù Risorto, cuore della speranza». Nella parte finale del suo secondo discorso in Romania, dal palazzo del Patriarcato ortodosso a Bucarest, il Papa ha indicato con queste parole le due priorità dell’evangelizzazione: famiglia e giovani. «Dare Dio», prima di «dire Dio», l’invito, insieme a quello a «non essere passivi nel bene, ma pronti ad alzarci e ad andare, attivi e collaborativi». «Ci sono d’esempio le tante comunità ortodosse romene che ottimamente collaborano con le molte diocesi cattoliche dell’Europa occidentale dove sono presenti», ha sottolineato il Santo Padre, facendo notare che «in molti casi si è sviluppato un rapporto di reciproca fiducia e amicizia, alimentata da gesti concreti di accoglienza, sostegno e solidarietà». «Attraverso questa vicendevole frequentazione molti cattolici e ortodossi romeni hanno scoperto di non essere estranei, ma fratelli e amici», il tributo del Papa, secondo il quale «il tragitto che ci attende va da Pasqua a Pentecoste: da quell’alba pasquale di unità, qui sorta vent’anni fa, siamo instradati verso una nuova Pentecoste», come quella degli apostoli.

«Il nostro cammino è ripartito dalla certezza di avere il fratello accanto, a condividere la fede fondata sulla risurrezione dello stesso Signore», ha detto il Papa a proposito dei progressi in campo ecumenico: «Da Pasqua a Pentecoste: tempo di raccoglierci in preghiera sotto la protezione della Santa Madre di Dio, di invocare lo Spirito gli uni per gli altri. Ci rinnovi lo Spirito Santo, che disdegna l’uniformità e ama plasmare l’unità nella più bella e armoniosa diversità. Il suo fuoco consumi le nostre diffidenze; il suo vento spazzi via le reticenze che ci impediscono di testimoniare insieme la vita nuova che ci offre. Egli, artefice di fraternità, ci dia la grazia di camminare insieme. Egli, creatore della novità, ci renda coraggiosi nello sperimentare vie inedite di condivisione e di missione. Egli, forza dei martiri, ci aiuti a non rendere infecondo il loro sacrificio».