Vita Chiesa
Papa Francesco: una pastorale che si addentri nel cuore palpitante dei quartieri
«Uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani». Non è uno spot elettorale, ma la ricetta di Papa Francesco per la sua diocesi. Nel suo quarto, intenso discorso (mezz’ora circa) pronunciato il 16 giugno nella basilica di San Giovanni in Laterano e condito da numerose aggiunte a braccio – in occasione dell’apertura del Convegno ecclesiale diocesano, sul tema: «La letizia dell’amore: il cammino delle famiglie a Roma» – ad otto mesi dalla conclusione del cammino sinodale (in due anni), dedicato alla famiglia, e a poco più di due mesi dalla presentazione dell’esortazione apostolica «Amoris Laetitia», Francesco ripercorre il cammino sinodale attraverso tre immagini bibliche e rilancia.
No alla «logica separatista» e alla «pastorale dei ghetti», sì invece alla Chiesa madre capace di «assumere la logica della compassione verso le persone fragili» e di «evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti». «Gesù non era un pulito», è quello che si è sporcato di più, «andava tra la gente, dalla gente e prendeva la gente com’era e non come doveva essere». Perché «in questa vita il miglior grano sarà sempre mescolato con un po’ di zizzania», ed è il Vangelo che «ci richiede di non giudicare e di non condannare».
«Uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito. E che si sporcano le mani». Questa, in sintesi, la ricetta del Papa per «abbracciare tutte le situazioni concrete delle famiglie, con tutte le loro complicazioni». «Non solo di quelle che vengono o si trovano nelle parrocchie, ma poter arrivare alle famiglie dei nostri quartieri, quelle che non vengono», l’invito di Francesco.
«Una delle tentazioni alla quale siamo continuamente esposti è avere una logica separatista». Nella seconda delle tre immagine bibliche che hanno scandito il suo discorso, il Papa ha esortato i romani a «fare un passo importante e necesssario»: «Non possiamo analizzare, riflettere e ancor meno pregare sulla realtà come se noi fossimo su sponde o sentieri diversi, come se fossimo fuori dalla storia». «Tutti abbiamo bisogno di convertirci», ha esclamato. «Rimaniamo inclusi nella stessa parte», l’invito, siamo tutti peccatori.
La misericordia è il «realismo di Dio», che «si sporca le mani», ha spiegato Francesco: «Le nostre analisi sono importanti e necessarie e ci aiuteranno ad avere un sano realismo. Ma nulla è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione, un’opportunità, una possibilità».
Il «realismo evangelico» è quello che «si impegna con l’altro, con gli altri e non fa degli ideali e del ‘dover essere’ un ostacolo per incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano». «Non si tratta di non proporre l’ideale evangelico, al contrario, ci invita a viverlo all’interno della storia, con tutto ciò che comporta», l’ammonimento: «Questo non significa non essere chiari nella dottrina, ma evitare di cadere in giudizi e atteggiamenti che non assumono la complessità della vita». «Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che grano e zizzania crescono assieme, e il miglior grano – in questa vita – sarà sempre mescolato con un po’ di zizzania».
«Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione», dice il Papa citando l’Amoris Laetitia, ma la Chiesa è «una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada».
Il sogno di Francesco è «una Chiesa capace di assumere la logica della compassione verso le persone fragili e di evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti». È il Vangelo stesso che «ci richiede di non giudicare e di non condannare».
«Nei sogni dei nostri anziani molte volte risiede la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro, un domani, una speranza». È la terza immagine biblica scelta dal Papa. «Come società – la denuncia di Francesco – abbiamo privato della loro voce i nostri anziani», li abbiamo scartati, abbandonati, e così abbiamo perso «la possibilità di prendere contatto con il segreto che ha permesso loro di andare avanti».
«Questa mancanza di modelli, di testimonianze, questa mancanza di nonni, di padri capaci di narrare sogni non permette alle giovani generazioni di avere visioni», l’analisi del Papa: «Solo la testimonianza dei nostri genitori, vedere che è stato possibile lottare per qualcosa che valeva la pena, li aiuterà ad alzare lo sguardo». «Questa è l’ora dei nonni!», il tema di un fuori programma molto applaudito: scartare gli anziani è «un peccato sociale».
«La vita di ogni persona, la vita di ogni famiglia dev’essere trattata con molto rispetto e molta cura. Specialmente quando riflettiamo su queste cose; guardiamoci dal mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti; diamo spazio agli anziani perché tornino a sognare». Con queste parole il Papa ha riassunto il suo discorso, esortando a stare nel mondo «non come quei perfetti e immacolati che credono di sapere tutto». «Rinunciamo ai recinti che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza». «Sviluppare una pastorale familiare capace di accogliere, accompagnare, discernere e integrare», la consegna finale alla sua diocesi, all’insegna dei quattro verbi che scandiscono l’Amoris Laetitia.