Vita Chiesa
Papa Francesco: “un cristiano porta sempre la pace perché Cristo è la pace”
Alle ore 9.30 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa per la comunità congolese a Roma.
Pubblichiamo di seguito l’Omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica:
Bobóto [Pace] – Bondeko [Fraternità]
Bondéko [Fraternità] – Esengo [Gioia]
Esengo, gioia: la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci riempie di gioia. Perché, fratelli e sorelle? Perché, come dice Gesù nel Vangelo, «il Regno di Dio è vicino» (Lc 10,11). È vicino: non ancora raggiunto, in parte nascosto, ma prossimo a noi. E questa vicinanza di Dio in Gesù, questa vicinanza di Dio che è Gesù, è la fonte della nostra gioia: siamo amati e non siamo mai lasciati soli. Però la gioia che nasce dalla vicinanza di Dio, mentre dà pace, non lascia in pace. Dà pace e non ci lascia in pace, una gioia speciale. Provoca in noi una svolta: riempie di stupore, sorprende, cambia la vita. E l’incontro con il Signore è un continuo incominciare, un continuo fare un passo in avanti. Il Signore ci cambia la vita sempre. È quello che accade ai discepoli nel Vangelo: per annunciare la vicinanza di Dio vanno lontano, vanno in missione. Perché chi accoglie Gesù sente di doverlo imitare, di fare come Lui ha fatto, che ha lasciato il cielo per servirci in terra, ed esce da sé stesso. Dunque, se ci chiediamo qual è il nostro compito nel mondo, che cosa dobbiamo fare come Chiesa nella storia, la risposta del Vangelo è chiara: la missione. Andare in missione, portare l’Annuncio, far sapere che Gesù è venuto dal Padre.
Da cristiani non possiamo accontentarci di vivacchiare nella mediocrità. E questa è una malattia; tanti cristiani, anche tutti noi abbiamo il pericolo di vivacchiare nella mediocrità, facendo i conti con le nostre opportunità e convenienze, vivendo alla giornata. No, siamo missionari di Gesù. Tutti siamo missionari di Gesù. Ma tu puoi dire: “Io non so come si fa, non sono capace!”. Il Vangelo ci stupisce ancora, mostrandoci il Signore che invia i discepoli senza aspettare che siano pronti e ben allenati: non erano con Lui da molto tempo, eppure li manda. Non avevano fatto studi di teologia, eppure li manda. E anche il modo in cui li invia è pieno di sorprese. Cogliamo dunque tre sorprese, tre cose che ci stupiscono, tre sorprese missionarie che Gesù riserva ai discepoli e riserva a ciascuno di noi se noi lo ascoltiamo.
Prima sorpresa: l’equipaggiamento. Per affrontare una missione in luoghi sconosciuti occorre prendere con sé diverse cose, certamente quelle essenziali. Gesù, invece, non dice che cosa prendere, ma che cosa non prendere: «Non portate borsa, né sacca, né sandali» (v. 4). Praticamente nulla: nessun bagaglio, nessuna sicurezza, nessun aiuto. Spesso pensiamo che le nostre iniziative ecclesiali non funzionino a dovere perché ci mancano strutture, ci mancano soldi, ci mancano mezzi: questo non è vero. La smentita viene da Gesù stesso. Fratelli, sorelle, non confidiamo nelle ricchezze e non temiamo le nostre povertà, materiali e umane. Più siamo liberi e semplici, piccoli e umili, più lo Spirito Santo guida la missione e ci fa protagonisti delle sue meraviglie. Lasciare spazio allo Spirito Santo!
Per Cristo l’equipaggiamento fondamentale è un altro: il fratello. Curioso questo. «Li inviò a due a due» (v. 1), dice il Vangelo. Non da soli, non per conto proprio, sempre con il fratello accanto. Mai senza il fratello, perché non c’è missione senza comunione. Non c’è annuncio che funzioni senza prendersi cura degli altri. Allora possiamo chiederci: io, cristiano, penso più a quello che mi manca per vivere bene, o penso ad avvicinarmi ai fratelli, a prendermi cura di loro?
Veniamo alla seconda sorpresa della missione: il messaggio. È logico pensare che, per prepararsi all’annuncio, i discepoli debbano imparare che cosa dire, studiare a fondo i contenuti, preparare discorsi convincenti e ben articolati. Questo è vero. Anche io lo faccio. Invece Gesù consegna loro solo due frasette. La prima sembra persino superflua, trattandosi di un saluto: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”» (v. 5). Il Signore prescrive cioè di presentarsi, in qualsiasi posto, come ambasciatori di pace. Un cristiano porta sempre la pace. Un cristiano si adopera perché entri la pace in quel posto. Ecco il segno distintivo: il cristiano è portatore di pace, perché Cristo è la pace. Da questo si riconosce se siamo suoi. Se invece diffondiamo chiacchiere e sospetti, creiamo divisioni, ostacoliamo la comunione, mettiamo la nostra appartenenza davanti a tutto, non agiamo in nome di Gesù. Chi fomenta rancore, incita all’odio, scavalca gli altri, non lavora per Gesù, non porta la pace. Oggi, cari fratelli e sorelle, preghiamo per la pace e la riconciliazione nella vostra patria, nella Repubblica Democratica del Congo, tanto ferita e sfruttata. Ci uniamo alle Messe celebrate nel Paese secondo questa intenzione e preghiamo perché i cristiani siano testimoni di pace, capaci di superare ogni sentimento di astio, ogni sentimento di vendetta, superare la tentazione che la riconciliazione non sia possibile, ogni attaccamento malsano al proprio gruppo che porta a disprezzare gli altri.
Fratello, sorella, la pace comincia da noi; comincia da me e da te, da ognuno di noi, dal cuore di ciascuno di noi. Se vivi la sua pace, Gesù arriva e la tua famiglia, la tua società cambiano. Cambiano se per prima cosa il tuo cuore non è in guerra, non è armato di risentimento e di rabbia, non è diviso, non è doppio, non è falso. Mettere pace e ordine nel proprio cuore, disinnescare l’avidità, spegnere l’odio e il rancore, fuggire la corruzione, fuggire gli imbrogli e le furberie: ecco da dove inizia la pace. Sempre vorremmo incontrare persone miti, buone, pacifiche, a cominciare dai nostri parenti e vicini. Ma Gesù dice: “Porta tu la pace alla tua casa, comincia tu a onorare tua moglie e ad amarla col cuore, a rispettare e prenderti cura dei figli, degli anziani e dei vicini. Fratello e sorella, per favore, vivi in pace, accendi la pace e la pace dimorerà nella tua casa, nella tua Chiesa, nel tuo Paese”.
Dopo il saluto di pace, tutto il resto del messaggio affidato ai discepoli si riduce alle poche parole con cui abbiamo incominciato e che Gesù ripete due volte: «È vicino a voi il regno di Dio! […] Il regno di Dio è vicino» (vv. 9.11). Annunciare la vicinanza di Dio, che è il Suo stile; lo stile di Dio è chiaro: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio. Annunciare la vicinanza di Dio, ecco l’essenziale. La speranza e la conversione vengono da qui: dal credere che Dio è vicino e veglia su di noi: è il Padre di tutti noi, che ci vuole tutti fratelli e sorelle. Se noi viviamo sotto questo sguardo, il mondo non sarà più un campo di battaglia, ma un giardino di pace; la storia non sarà una corsa per arrivare primi, ma un pellegrinaggio comune. Tutto ciò – ricordiamolo bene – non richiede grandi discorsi, ma poche parole e tanta testimonianza. Allora possiamo chiederci: chi mi incontra, vede in me un testimone della pace e della vicinanza di Dio oppure una persona agitata, arrabbiata, insofferente, bellicosa? Io faccio vedere Gesù o io lo nascondo in questi atteggiamenti bellicosi?
Dopo l’equipaggiamento e il messaggio, la terza sorpresa della missione riguarda il nostro stile. Gesù chiede ai suoi di andare nel mondo «come agnelli in mezzo ai lupi» (v. 3). Il buon senso del mondo dice il contrario: imponiti, primeggia! Cristo, invece, ci vuole agnelli, non lupi. Non vuol dire essere ingenui – no, per favore! -, ma aborrire ogni istinto di supremazia e sopraffazione, di avidità e di possesso. Chi vive da agnello non aggredisce, non è vorace: sta nel gregge, con gli altri, e trova sicurezza nel suo Pastore, non nella forza o nell’arroganza, non nell’avidità di soldi e di beni che tanto male causa anche alla Repubblica Democratica del Congo. Il discepolo di Gesù respinge la violenza, non fa male a nessuno – è un pacifico -, ama tutti. E se ciò gli sembra perdente, guarda il suo Pastore, Gesù, l’Agnello di Dio che così ha vinto il mondo, sulla croce. Così ha vinto il mondo. E io – chiediamoci ancora – vivo da agnello, come Gesù, o da lupo, come insegna lo spirito del mondo, quello spirito che porta avanti la guerra? Quello spirito che fa le guerre, che distrugge.
Il Signore ci aiuti ad essere missionari oggi, andando in compagnia del fratello e della sorella; avendo sulle labbra la pace e la vicinanza di Dio; portando nel cuore la mitezza e la bontà di Gesù, l’Agnello che toglie i peccati del mondo.
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