Vita Chiesa

Papa Francesco: ricordo card. Bea sia stimolo a «impegno irreversibile» per unità cristiani e amicizia con fratelli ebrei

L’incontro era promosso dal Centro «Cardinal Bea» per gli studi giudaici in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il Pontificio Istituto Biblico e il «Center for the Study of Christianity» dell’Università ebraica di Gerusalemme.

«Il vostro Centro, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il Pontificio Istituto Biblico e il Center for the Study of Christianity dell’Università Ebraica di Gerusalemme, sta celebrando, con una serie di conferenze di alto livello, la memoria del Cardinale Bea nel 50° anniversario della morte», ha esordito Francesco: «Avete così modo di rivisitare questa insigne figura e il suo influsso decisivo su alcuni importanti documenti del Concilio Vaticano II. I rapporti con l’ebraismo, l’unità dei cristiani, la libertà di coscienza e di religione sono alcuni dei temi principali, che risuonano ancora oggi estremamente attuali».

«Il cardinale Bea non è però solo da ricordare per quello che ha fatto, ma anche per il modo in cui l’ha fatto», il ritratto tratteggiato da Francesco: «In questo senso rimane un modello cui ispirarsi per il dialogo ecumenico e interreligioso, e in modo eminente per il dialogo ‘intra-familiare’ con l’ebraismo». «Comprensivo, pieno di bontà umana e coraggioso»: così Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, descrisse Bea. Per il Papa, si tratta di «tre aspetti essenziali per chi si adopera nella riconciliazione tra gli uomini». «Il card. Bea era convinto che l’amore e il rispetto sono i principi primi del dialogo», le parole di Francesco riferite alla comprensione verso gli altri: «Non c’è verità al di fuori dell’amore, e l’amore si declina in primo luogo come capacità di accogliere, abbracciare, prendere con sé: ‘com-prendersi’».

Il secondo aspetto: «La bontà e l’umanità, il saper creare, cioè, vincoli di amicizia, legami fondati sulla fraternità che ci accomuna, in quanto creature di Dio che è Padre e ci desidera fratelli. Comprensione che accetta l’altro, bontà che scopre e crea legami di unità; tutto questo in lui era sostenuto – terzo aspetto – da un temperamento coraggioso, che Padre Congar definiva ‘pazienza ostinata’». «Il Cardinale Bea si è trovato ad affrontare non poche resistenze nel suo lavoro per il dialogo», ha ricordato Francesco: «Pur accusato e calunniato, andò avanti, con la perseveranza di chi non rinuncia ad amare. Quando gli veniva detto che i tempi non erano maturi per ciò che proponeva l’allora Segretariato per l’unione dei cristiani, rispondeva con spirito: ‘Allora bisogna farli maturare!’. Né ottimista né pessimista, era realista sul futuro dell’unità: da una parte cosciente delle difficoltà, dall’altra convinto della necessità di rispondere all’accorato desiderio del Signore che i suoi siano una sola cosa».

«Il Concilio non potrà essere un punto di arrivo, bensì un punto di partenza». Citando il card. Bea il Papa ha poi sottolineato «il fruttuoso cammino compiuto nel dialogo tra ebrei e cattolici dopo Bea e alla sua scuola». «Di questo percorso il vostro Centro è una tappa fondamentale», ha detto ai partecipanti all’udienza di oggi: «Quando la Santa Sede chiese all’Università Gregoriana di istituirlo, gli affidò il mandato di diventare il progetto più importante di studi giudaici della Chiesa cattolica». «Mentre ribadisco questo auspicio, mi congratulo con gli studenti che hanno intrapreso la via non facile dello studio dell’ebraico e della frequentazione di un mondo religioso e culturale tanto ricco e complesso», ha proseguito Francesco: «Vi incoraggio ad andare avanti. Ringrazio anche i docenti, che con generosa dedizione mettono a disposizione tempo e competenza». Il Papa si è poi rivolto «in modo speciale ai docenti ebrei, a quelli dell’Università ebraica di Gerusalemme e agli altri coinvolti nel Centro»: «Voi insegnate in un ambiente dove la vostra presenza rappresenta una novità ed è già di per sé un messaggio. Come, infatti, introdurre a un dialogo autentico senza una conoscenza dal di dentro?».

«Il dialogo va portato avanti a due voci, e la testimonianza di docenti ebrei e cattolici che insegnano insieme vale più di tanti discorsi», la tesi del Papa. «Finora il dialogo ebraico-cristiano si è spesso svolto in un ambito riservato piuttosto agli specialisti», il bilancio di Francesco, secondo il quale «l’approfondimento e la conoscenza specifici sono essenziali, ma non bastano»: «Accanto a questo sentiero occorre imboccarne un altro, più ampio, quello della diffusione dei frutti, perché il dialogo non rimanga appannaggio di pochi, ma diventi opportunità feconda per molti». «L’amicizia e il dialogo fra ebrei e cristiani sono infatti chiamati a oltrepassare le frontiere della comunità scientifica», la proposta del Papa: «Sarebbe bello, ad esempio, che nella stessa città rabbini e parroci lavorassero insieme, con le rispettive comunità, al servizio dell’umanità sofferente e promuovendo vie di pace e di dialogo con tutti. Spero che il vostro impegno, la vostra ricerca e i legami personali fra cristiani ed ebrei producano il terreno fecondo per mettere radici di ulteriore comunione».