Vita Chiesa

Papa Francesco: omissione è contrario di missione. Non viviamo una fede da sacrestia

«Il Signore ci chiama a far fruttare i talenti con audacia e creatività. Dio ci domanderà se ci saremo messi in gioco, rischiando, magari perdendoci la faccia. Questo mese missionario straordinario vuole essere una scossa per provocarci a diventare attivi nel bene. Non notai della fede e guardiani della grazia, ma missionari». Il monito è di Papa Francesco, nell’omelia della preghiera liturgica dei vespri presieduti ieri sera, memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, nella basilica di San Pietro in occasione dell’inizio del Mese missionario straordinario dal tema: «Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo». Si diventa missionari, spiega il Pontefice, «vivendo da testimoni: testimoniando con la vita di conoscere Gesù; è la vita che parla. Testimone è la parola-chiave, una parola che ha la stessa radice di senso di martire. E i martiri sono i primi testimoni della fede: non a parole, ma con la vita. Sanno che la fede non è propaganda o proselitismo, è dono di vita». Per Francesco non «possiamo tacere la gioia di essere amati, la certezza di essere sempre preziosi agli occhi di Dio». Questo è l’annuncio «che tanta gente attende. Ed è responsabilità nostra». Di qui l’invito a chiedersi in questo mese: «Come va la mia testimonianza?».

«L’omissione è il contrario della missione», ha detto il Papa nell’omelia. Commentando la parabola dei talenti, Francesco spiega che Dio è così severo con il servo perché «ha peccato di omissione. S. Alberto Hurtado – aggiunge a braccio – diceva: ‘È bene non fare del male ma è male non fare del bene’». E questo «può essere il peccato di una vita intera, perché abbiamo ricevuto la vita non per sotterrarla, ma per metterla in gioco» e «il segreto per possedere la vita è donarla. Vivere di omissioni è rinnegare la nostra vocazione». Secondo il Papa pecchiamo di omissione quando ci chiudiamo «in un triste vittimismo», quando «cediamo alla rassegnazione», quando «continuiamo a dire che va tutto male, nel mondo come nella Chiesa», quando «siamo schiavi delle paure che immobilizzano e ci lasciamo paralizzare dal ‘si è sempre fatto così’». Pecchiamo contro la missione anche «quando viviamo la vita come un peso e non come un dono; quando al centro ci siamo noi con le nostre fatiche, non i fratelli e le sorelle che attendono di essere amati». «Dio ama chi dona con gioia», prosegue Francesco; pertanto «ama una Chiesa in uscita. Ma stiamo attenti – avverte a braccio -. Se non è in uscita non è Chiesa, la Chiesa è per la strada, cammina. Una Chiesa in uscita, missionaria, è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più»; non cerca «oasi protette» ma «desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito».

«Per favore, non viviamo una fede ‘da sacrestia’», l’esortazione di Papa Francesco. «Oggi entriamo nell’ottobre missionario accompagnati da tre ‘servi’ che hanno portato molto frutto», afferma il Pontefice richiamando Santa Teresa di Gesù Bambino, «che fece della preghiera il combustibile dell’azione missionaria nel mondo», San Francesco Saverio, «uno dei grandi missionari della Chiesa», e la venerabile Pauline Jaricot, operaia che, «con le offerte che detraeva dal salario, fu agli inizi delle Pontificie Opere Missionarie». Questo, osserva, «è anche il mese del Rosario». Di qui una domanda e un monito: «Facciamo di ogni giorno un dono per superare la frattura tra Vangelo e vita? Per favore, non viviamo una fede ‘da sacrestia’». La religiosa, il sacerdote e la laica appena richiamati «ci dicono che nessuno è escluso dalla missione della Chiesa», assicura il Papa affermando che in questo mese il Signore chiama tutti: padri e madri di famiglia, giovani, lavoratori, disoccupati, malati. «Il Signore – spiega – ti chiede di farti dono lì dove sei, così come sei, con chi ti sta vicino; di non subire la vita, ma di donarla; di non piangerti addosso, ma di lasciarti scavare dalle lacrime di chi soffre. Coraggio, il Signore si aspetta tanto da te. Si aspetta anche che qualcuno abbia il coraggio di partire, di andare là dove più mancano speranza e dignità, là dove troppa gente vive ancora senza la gioia del Vangelo». «Ma devo andare da solo? – l’interrogativo posto a braccio da Francesco -. Questo non va. Se noi abbiamo in mente organizzazioni e piani di lavoro – ammonisce – questo non va. Protagonista della missione è lo Spirito Santo». Di qui l’esortazione conclusiva: «Va’, il Signore non ti lascerà solo; testimoniando, scoprirai che lo Spirito Santo è arrivato prima di te per prepararti la strada. Coraggio, fratelli e sorelle; coraggio, Madre Chiesa: ritrova la tua fecondità nella gioia della missione!».