Vita Chiesa
Papa Francesco, Messa a Rebibbia: «L’amore di Gesù non delude mai»
Papa Francesco è arrivato con qualche minuto di anticipo, rispetto all’orario previsto – le 17.30 – nel piazzale antistante la Casa circondariale Rebibbia Nuovo Complesso, dove l’attendevano oltre 300 detenuti, il personale della polizia penitenziaria, il personale amministrativo e i volontari. Accolto da applausi e ovazioni dalla folla, che scandiva «Francesco, Francesco», il Santo Padre, accompagnato dal cappellano, don Sandro Spriano, ha salutato, uno ad uno, i detenuti che si sporgevano dalle transenne, stringendo mani, dando baci, facendo segni della croce sulla fronte degli ospiti della struttura. Particolarmente toccante l’incontro con un detenuto che portava un cartello, con la scritta «W Papa Francesco, benedici chi non c’è più»: sotto la scritta, a penna ripassata con il pennarello giallo, una foto e un nome, Davide. «Ringrazio tutti voi dell’accoglienza, tanto calorosa e sentita, grazie tante!», il saluto del Papa prima di entrare nella chiesa «Padre Nostro» per la Messa «in Coena Domini».
«Questo Giovedì Gesù era a tavola con i dodici, stava celebrando la festa di Pasqua, e il brano del Vangelo che abbiamo sentito dice una frase che è proprio il centro di quello che Gesù ha fatto per tutti noi: ‘Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine’». Con queste parole il Papa ha iniziato l’omelia della Messa «in Coena Domini», celebrata nel carcere di Rebibbia, dove subito dopo ha lavato i piedi di dodici detenuti e detenute. «Gesù cui amò, Gesù ci ama!», ha esclamato il Papa nell’omelia, durata circa cinque minuti e pronunciata interamente a braccio: «Ma senza limite – ha proseguito – sempre, fino alla fine. L’amore di Gesù per noi non ha limiti: sempre di più, sempre di più, non si stanca di amare, a nessuno: ama tutti noi, al punto di dare la vita per noi, per tutti noi. Dare la vita per ognuno di noi, e ognuno di noi può dire: dare la vita per me. Ha dato la vita per ognuno, con il suo nome e cognome: il suo amore è così, è personale». «L’amore di Gesù non delude mai», ha commentato il Papa, «perché lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonarci, di abbracciarci. Gesù ci amò, a ognuno di noi, fino alla fine».
«Gesù lava come uno schiavo i nostri piedi, i piedi dei discepoli», ha detto il Papa, sottolineando che durante l’ultima cena Gesù «fa un gesto che non capivano, lavare i piedi: era uso, era un’abitudine, perché la gente quando arrivava in una casa aveva i piedi sporchi dalla polvere del cammino». «Non c’erano i sampietrini a quel tempo», ha scherzato Francesco, «e all’entrata della casa gli si lavavano i piedi». «Ma non lo faceva il padrone di casa, era un lavoro di schiavi», ha precisato il Pontefice: «Lo capirai dopo, dice a Pietro: è tanto l’amore di Gesù, che si è fatto schiavo per servirci, per guarirci, per pulirci». «Oggi la Chiesa vuole che i sacerdoti lavino i piedi di 12 persone, in memoria dei 12 apostoli – ha proseguito il Papa – ma nel cuore nostro dobbiamo avere la certezza, dobbiamo essere sicuri che il Signore quando ci lava i piedi, ci lava tutto, ci purifica, ci fa sentire un’altra volta il suo amore». Poi il Santo Padre ha citato una frase «tanto bella di Isaia»: «Può una madre dimenticarsi di suo figlio? Se una madre si dimenticasse di suo figlio, io non mi dimenticherò di te: così è l’amore di Dio per noi».
«Ora laverò i piedi di dodici di voi», ha detto il Papa: «Ma in questi fratelli e sorelle ci siete tutti voi, tutti quelli che abitano qui», ha assicurato. «Anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore», ha concluso: «Per questo pregate perché il Signore anche lavi le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo del servizio alla gente, come è stato Gesù». Poi il Papa si è inginocchiato e ha baciato, lavato e asciugato i piedi di due detenute nigeriane, una congolese, due italiane, un’ecuadoregna, un detenuto brasiliano, un nigeriano e quattro italiani.