Vita Chiesa

Papa Francesco: “il primo compito del vescovo è pregare, non andare davanti alla tv”. Preti, no a una vita “da scapoloni”

Il Papa ha spiegato che “perseverare nella preghiera significa non solo rimanere fedeli a una pratica: significa non scappare quando proprio la preghiera ci conduce nel deserto. La via del deserto è la via che conduce all’intimità con Dio, a patto però di non fuggire, di non trovare modi per evadere da questo incontro”. “Si è sacerdote se si è capaci di  lasciarsi portare nel deserto”, ha affermato Francesco, che ha proseguito a braccio: “le guide spirituali, quando accompagnano i sacerdoti, devono aiutare a farsi questa domanda e a rispondere: tu sei capace di lasciarti andare al deserto, o vai subito alla televsione?”. “Un sacerdote – la raccomandazione del Papa – deve avere un cuore abbastanza ‘allargato’ da fare spazio al dolore del popolo che gli è affidato e, nello stesso tempo, come sentinella annunciare l’aurora della Grazia di Dio che si manifesta proprio in quel dolore. Abbracciare, accettare e presentare la propria miseria nella vicinanza al Signore sarà la migliore scuola per poter, piano piano, fare spazio a tutta la miseria e al dolore che incontrerà quotidianamente nel suo ministero, fino al punto di diventare egli stesso come il cuore di Cristo”. Troppo spesso, invece, “nella vita sacerdotale si pratica la preghiera solo come un dovere, dimenticando che l’amicizia e l’amore non possono essere imposti come una regola esterna, ma sono una scelta fondamentale del nostro cuore”.

“Quando i preti si chiudono fanno una vita da scapoloni”. Lo ha detto, a braccio, il Papa. La “logica delle vicinanze”, ha spiegato riferendosi in particolare alla vicinanza del sacerdote al vescovo – “ma vale anche per le altre”, ha precisato a braccio – consente di rompere ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione e di fare una vita da scapolo”. Il vescovo, da parte sua, “non è un vigilante, è un padre”, e “può essere strumento di discernimento solo se anch’egli si mette in ascolto della realtà dei suoi presbiteri e del popolo santo di Dio che gli è affidato”. “Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire”, ha ribadito Francesco sulla scorta dell’Evangelii gaudium: “Non a caso il male, per distruggere la fecondità dell’azione della Chiesa, cerca di minare i legami che ci costituiscono. Difendere i legami del sacerdote con la Chiesa particolare, con l’istituto a cui appartiene e con il vescovo rende la vita sacerdotale affidabile. L’obbedienza è la scelta fondamentale di accogliere chi è posto davanti a noi come segno concreto di quel sacramento universale di salvezza che è la Chiesa. Obbedienza che può essere anche confronto, ascolto e, in alcuni casi, tensione, ma non si rompe. Questo richiede necessariamente che i sacerdoti preghino per i vescovi e sappiano esprimere il proprio parere con rispetto e sincerità. Richiede ugualmente ai vescovi umiltà, capacità di ascolto, di autocritica e di lasciarsi aiutare. Se difenderemo questo legame procederemo sicuri nel nostro cammino”.