Vita Chiesa

Papa Francesco all’Ilva di Genova: «Chi licenzia non è un buon imprenditore»

«Il porto mi ricorda mio papà». Papa Francesco è arrivato con qualche minuto d’anticipo, rispetto alle 8.30, ora prevista, a Genova. Il primo incontro del suo viaggio pastorale è allo stabilimento dell’Ilva, dove lo hanno accolto 3.500 lavoratori con il caratteristico elmo giallo. Francesco ha raggiunto il luogo del suo primo appuntamento con i genovesi a bordo di un auto elettrica scoperta. Ad accoglierlo il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, che è salito a bordo con lui.

«Buongiorno a tutti!», le prime parole del Papa dopo il saluto del cardinale. «È la prima volta che vengo a Genova ed essere vicino al porto mi ha ricordato da dove è uscito il mio papà. E questo mi dà una grande emozione. Grazie dell’accoglienza vostra!». «Oggi il lavoro è un rischio, è un mondo dove il lavoro non si considera la dignità che ha e che dà», ha esordito il Papa: «Il mondo del lavoro è una priorità umana, e pertanto è una priorità cristiana, una priorità nostra, e anche una priorità del Papa, perché è quel primo comando che ha dato ad Adamo. Fa crescere la terra, lavora la terra, dominala. C’è sempre stata una amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù lavoratore. Dove c’è un lavoratore lì c’è l’interesse della Chiesa».

«L’imprenditore deve essere prima di tutto un lavoratore», ha detto il Papa, che ha dialogato a braccio rispondendo, in primo luogo, alla domanda di un imprenditore. «Se non ha esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore», ha ammonito Francesco: «Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente: chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando gente non è un buon imprenditore, è un commerciante! Oggi vende la sua gente, domani vende la dignità propria». «Evitare i licenziamenti!», l’imperativo del Papa, che ha raccontato ancora una volta un episodio successo quasi un anno fa, durante una Messa a Santa Marta, quando un imprenditore era venuto a chiedere una grazia: «Sono al limite e devo dichiarare fallimento, questo significa che devo licenziare una sessantina di lavoratori, e non voglio, perché sento che licenzio me stesso». «E piangeva, piangeva: quello è un bravo imprenditore, lottava e pregava per la sua gente, perché era la sua famiglia».

«Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori!», ha affermato, tra gli applausi, intrattenendosi per quasi un’ora con gli operai e rispondendo a braccio a quattro domande, di un imprenditore, di un rappresentante dei sindacati, di uno della pastorale del lavoro e di un disoccupato. «L’imprenditore – ha commentato Francesco – non va assolutamente confuso con lo speculatore, sono due tipologie diverse: lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo raffigura come un mercenario, per contrapporlo alla figura del Buon Pastore». «Lo speculatore usa l’azienda e i lavoratori per fare profitto», ha ammonito il Papa, preda di «un’economia senza volti», alla base della quale non ci sono le persone. «Quando l’economia perde contatto con il volto, con le persone concrete, essa stessa diventa senza volto, quindi un’economia spietata», la denuncia del Papa. «Quante volte – il grido d’allarme – il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro, e non chi investe sul lavoro: crea burocrazia partendo dall’ipotesi che tutti gli imprenditori siano speculatori, e così chi non lo è rimane svantaggiato e chi lo è riesce a trovare i mezzi per sfuggire ai controlli».

Invece che «riscatto sociale», «ricatto sociale». A volte, il lavoro è così, ha spiegato il Papa che ha raccontato l’episodio di «una ragazza colta, parlava alcune lingue» che durante un colloquio di lavoro si è sentita proporre un’assunzione con un orario di lavoro giornaliero di undici ore e una paga di ottocento euro al mese. Alla sua obiezione per il salario così basso rispetto all’orario di lavoro, «lo speculatore – non era un imprenditore – le ha detto: signorina, guardi indietro la coda, se non gli piace se ne vada». «Questo non è riscatto, è ricatto!», ha esclamato il Papa, che ha poi menzionato il caso frequente di lavoratori licenziati a giugno e riassunti a settembre: «E così si gioca. È lavoro in nero». «Attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale, perché quando non si lavora – o si lavora male, poco o troppo – è la democrazia che entra in crisi, è in crisi tutto il patto sociale», la tesi di Francesco: «È anche questo il senso dell’articolo primo della Costituzione italiana, che è molto bello: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Possiamo dire che togliere il lavoro alla gente, sfruttare la gente con lavoro nero o malpagato, è anticostituzionale».

«L’obiettivo vero da raggiungere non è un reddito per tutti, ma il lavoro per tutti, perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». Ne è convinto il Papa, che ha definito «ideologia» il pensare che «solo un terzo dei lavoratori lavoreranno e gli altri sono mantenuti da un assegno sociale». «Il lavoro di oggi e di domani sarà diverso, forse molto diverso – pensiamo alla rivoluzione industriale – ma dovrà essere lavoro, non pensionati, lavoro!», ha ammonito a braccio: «Si va in pensione all’età giusta, è un atto di giustizia, ma è contro la dignità delle persone mandarle in pensione a 35-40 anni, dargli l’assegno dello Stato e avanti. Ho da mangiare sì, ho la dignità no, perché non ho lavoro». «Senza lavoro si può sopravvivere, ma per vivere occorre il lavoro, e la scelta è fra il sopravvivere o il vivere», il grido d’allarme, soprattutto riguardo ai giovani. «Voi sapete la percentuale di giovani disoccupati dai 25 anni in giù che ci sono in Italia? Cercate le statistiche», l’invito sempre a braccio: «E questa è un’ipoteca per il futuro, perché questi giovani crescono senza dignità, perché non hanno il lavoro che è quello che dà la dignità. Un assegno statale, mensile che ti faccia portare avanti la famiglia non risolve i problemi. Il problema va risolto col lavoro per tutti».

«Molti lavori della grande economia e finanza non sono in linea con la tradizione cristiana, e dunque con l’umanesimo cristiano». È il monito lanciato dal Papa, nel botta e risposta con i lavoratori dell’Ilva. Questa impostazione, secondo Francesco, «è anche un errore economico, perché dimentica che l’impresa è prima di tutto cooperazione, assistenza, reciprocità». «Quando un’impresa crea un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione tra loro può ottenere qualche vantaggio, ma finisce per eliminare quel tessuto di fiducia che è l’anima ogni organizzazione. E così quando arriva una crisi l’azienda si sfilaccia e implode, perché non c’è più nessuna corda che la tiene». «Bisogna dire con forza che la cultura competitiva dei lavoratori dentro un’impresa è un errore, e quindi è una visione che va cambiata», l’appello. Altro valore che in Italia è «un disvalore», secondo il Papa, «è la tanto osannata meritocrazia, che affascina molto, ma siccome la si strumentalizza e la si usa in modo ideologico, la si snatura e perverte». «Al di là della buona fede di tanti che la invocano, la meritocrazia sta diventando la legittimazione etica delle disuguaglianza», la tesi di Francesco. «E il nuovo capitalismo tramite la meritocrazia crea disuguaglianze»: «Se due bambini alla nascita nascono diversi per talento, li remunererà diversamente, così quando due bambini andranno in pensione la disuguaglianza tra di loro ci sarà». Altro disvalore, il «cambiamento della cultura della povertà», grazie alla quale «il povero è considerato non meritevole e quindi un colpevole: e se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa». «Non è la logica del Vangelo, non è la logica della vita!», ha tuonato il Papa: «La meritocrazia è quella del fratello maggiore della parabola del figliol prodigo: lui disprezza il fratello minore e pensa che deve rimanere un fallito perché se l’è meritato».