Vita Chiesa
Papa Francesco alla curia romana: “Siamo tutti lebbrosi bisognosi di essere guariti”
“Tolte le nostre vesti, le prerogative, i ruoli, i titoli, siamo tutti dei lebbrosi bisognosi di essere guariti. Il Natale è la memoria viva di questa consapevolezza”. Nel tradizionale discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, il Papa ha cominciato con una denuncia – “questo tempo sembra aver dimenticato l’umiltà” – per raccomandare ai cardinali e a chi svolge un ruolo di vertice in Vaticano la virtù dell’umiltà, oggetto anche dell’ultima catechesi del mercoledì, e mettere in guardia dalla “pericolosa tentazione” della mondanità spirituale. “Non si può passare la vita nascondendosi dietro un’armatura, un ruolo, un riconoscimento sociale”, il monito di Francesco: “Arriva il momento, nell’esistenza di ognuno, in cui si ha il desiderio di non vivere più dietro il rivestimento della gloria di questo mondo, ma nella pienezza di una vita sincera, senza più bisogno di armature e di maschere”.
“Le rassicurazioni sono il frutto più perverso della mondanità spirituale, che rivela la mancanza di fede, di speranza e di carità, e diventano incapacità di saper discernere la verità delle cose”,la denuncia. “Quante volte sogniamo piani apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti!”, ha esclamato Francesco: “Così neghiamo la nostra storia di Chiesa, che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso, perché ogni lavoro è sudore della nostra fronte”. “Invece ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di ‘quello che si dovrebbe fare’ – il peccato del ‘si dovrebbe fare’ – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno”, il monito scorta dell’Evangelii gaudium: “Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele”. L’umiltà, invece, “è la capacità di saper abitare senza disperazione, con realismo, gioia e speranza, la nostra umanità. E’ comprendere che non dobbiamo vergognarci della nostra fragilità”.
Nel suo discorso, il Papa ha stigmatizzato lo stile di vita del superbo, che “rinchiuso nel suo piccolo mondo, non ha più passato né futuro” e ha elogiato invece lo stile di vita dell’umile, che “vive costantemente guidato da due verbi: ricordare e generare”.
“Ricordare non è ripetere”, la precisazione a proposito di un’errata concezione della tradizione, che può diventare “una prigione del passato”. “L’umile ha a cuore anche il futuro, non solo il passato, perché sa guardare avanti, sa guardare i germogli, con la memoria carica di gratitudine”, il ritratto di Francesco: “L’umile genera, invita e spinge verso ciò che non si conosce. Invece il superbo ripete, si irrigidisce e si chiude nella sua ripetizione, si sente sicuro di ciò che conosce e teme il nuovo perché non può controllarlo, se ne sente destabilizzato perché ha perso la memoria”. L’umile, inoltre, “accetta di essere messo in discussione, si apre alla novità e lo fa perché si sente forte di ciò che lo precede, delle sue radici, della sua appartenenza. Il suo presente è abitato da un passato che lo apre al futuro con speranza.”: a differenza del superbo, “sa che né i suoi meriti né le sue buone abitudini sono il principio e il fondamento della sua esistenza; perciò è capace di avere fiducia”. “Tutti noi siamo chiamati all’umiltà perché siamo chiamati a ricordare e a generare, siamo chiamati a ritrovare il rapporto giusto con le radici e con i germogli”, l’appello del Papa: “Senza di essi siamo ammalati, e destinati a scomparire”.
Non è mancato un riferimento al percorso sinodale, che vedrà impegnata la Chiesa per i prossimi due anni: “L’umiltà può metterci nella condizione giusta per poterci incontrare e ascoltare, per dialogare e discernere”, l’indicazione di rotta di Francesco, che ha messo in guardia ancora una volta il clericalismo, “tentazione perversa e attuale”.
“Sarebbe però sbagliato pensare che il Sinodo sia un evento riservato alla Chiesa come entità astratta, distante da noi”, il monito: “La sinodalità è uno stile a cui dobbiamo convertirci innanzitutto noi che siamo qui e che viviamo l’esperienza del servizio alla Chiesa universale attraverso il lavoro nella Curia romana”.
Poi l’appello alla sobrietà: “Se il Vangelo annuncia la giustizia, noi per primi dobbiamo cercare di vivere con trasparenza, senza favoritismi e cordate. Se la Chiesa percorre la via della sinodalità, noi per primi dobbiamo convertirci a uno stile diverso di lavoro, di collaborazione, di comunione. E questo è possibile solo attraverso la strada dell’umiltà”. Il Papa ha affidato alla Curia le tre parole-chiave usate all’apertura dell’assemblea sinodale: partecipazione, comunione e missione, “tre modi per rendere la via dell’umiltà una via concreta da mettere in pratica”.
“La complicità crea divisioni, fazioni e nemici”, ha spiegato Francesco: “la collaborazione esige la grandezza di accettare la propria parzialità e l’apertura al lavoro in gruppo, anche con quelli che non la pensano come noi. Nella complicità si sta insieme per ottenere un risultato esterno. Nella collaborazione si sta insieme perché si ha a cuore il bene dell’altro e, pertanto, di tutto il popolo di Dio che siamo chiamati a servire: non dimentichiamo il volto concreto delle persone, non dimentichiamo le nostre radici, il volto concreto di coloro che sono stati i nostri primi maestri nella fede”.
“La Chiesa è invitata ad andare incontro a tutte le povertà, ed è chiamata a predicare il Vangelo a tutti perché tutti, in un modo o in un altro, siamo poveri, siamo mancanti”, l’appello finale: “Ma anche la Chiesa va loro incontro perché essi ci mancano: ci manca la loro voce, la loro presenza, le loro domande e discussioni”.