Vita Chiesa

Papa Francesco ai vescovi del Mozambico: promuovere «cultura dell’incontro»

Il Paese africano è stato teatro, fino ai primi anni Novanta, di una sanguinosa guerra civile. Di fronte a «tensioni e conflitti» che hanno minato il tessuto sociale del Mozambico, ha auspicato il Papa, la Chiesa sia unita nel collaborare con le istituzioni per sostenere la famiglia e la difesa della vita, scendendo tra i fedeli, anche nelle «periferie esistenziali» dove c’è «sofferenza, solitudine, degrado umano». Il modo «più efficace» per contrastare una mentalità di arroganza, disuguaglianza e divisioni sociali, ha ricordato, citando l’Esortazione apostolica «Evangelii Gaudium», è quello di «investire» nel campo della formazione che insegna ai giovani a pensare in modo critico, accompagnandoli in un percorso di maturazione dei valori. Papa Francesco ha perciò invitato a «rilanciare la pastorale nelle università e nelle scuole». In campo politico ha chiesto ai vescovi di incoraggiare buone relazioni con il governo, che non significano «dipendenza», ma sana «collaborazione», in particolare per leggi in discussione al Parlamento.

Il Papa ha chiesto di «non risparmiare alcuno sforzo per sostenere la famiglia e la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale»: la famiglia, ha evidenziato, è «fonte primaria di fraternità, rispetto per gli altri e via privilegiata per la pace». Accanto a sfollati e rifugiati Francesco ha voluto poi ricordare le vittime di quelle catastrofi naturali che «non cessano di seminare distruzione, sofferenza e morte», aumentando il numero di sfollati e rifugiati. Papa Francesco ha sollecitato i vescovi ad avere cura dei sacerdoti, non dimenticando i loro bisogni umani, soprattutto nei momenti più delicati e importanti. «Il tempo trascorso con loro non è mai tempo sprecato», ha aggiunto. Il pensiero del Papa è andato, inoltre, a molte scuole gestite da comunità religiose – i cui carismi «arricchiscono» – come pure a tanti centri di accoglienza, orfanotrofi, case famiglia «in cui vivono e crescono» tanti bambini e giovani abbandonati. Ha dunque invitato i vescovi a «scendere» tra i fedeli, «anche nelle periferie» delle diocesi e nelle «periferie esistenziali» dove c’è «sofferenza, solitudine, degrado umano». Perché, ha concluso, un vescovo che vive tra i suoi fedeli ha «orecchie aperte» per ascoltare sia ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, sia la «voce delle pecore», anche attraverso le organizzazioni diocesane che hanno il compito di contribuire ad un dialogo «leale e costruttivo».