Vita Chiesa

Papa Francesco ai rifugiati: «salvare vite migranti è impegno ineluttabile»

«Siamo di fronte ad un’altra morte causata dall’ingiustizia. Già, perché è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione». Così il Papa ha salutato i rifugiati arrivati recente da Lesbo con i corridoi umanitari. Nell’accesso al palazzo apostolico dal Cortile del Belvedere, Francesco ha fatto collocare una croce in ricordo dei migranti e dei rifugiati, appesa alla quale ha collocato un giubbotto salvagente come simbolo dei tanti morti senza nome annegati nel Mediterraneo mentre erano in cerca della salvezza.

«È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare», ha ribadito Francesco sulla scorta del suo primo viaggio apostolico a Lampedusa: «Il giubbotto ‘veste’ una croce in resina colorata, che vuole esprimere l’esperienza spirituale che ho potute cogliere dalle parole dei soccorritori. In Gesù Cristo la croce è fonte di salvezza, ‘stoltezza per quelli che si perdono – dice San Paolo -, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio’». «Questo è il secondo giubbotto salvagente che ricevo in dono», ha spiegato il Papa: «Il primo mi è stato regalato qualche anno fa da un gruppo di soccorritori. Apparteneva a una bambina che è annegata nel Mediterraneo. L’ho donato poi ai due Sottosegretari della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ho detto loro: ‘Ecco la vostra missione!’». «Con ciò ho voluto significare l’ineluttabile impegno della Chiesa a salvare le vite dei migranti, per poi poterli accogliere, proteggere, promuovere ed integrare», ha sottolineato Francesco, specificando che «questo secondo giubbotto, consegnato da un altro gruppo di soccorritori solo qualche giorno fa, è appartenuto a un migrante scomparso in mare lo scorso luglio. Nessuno sa chi fosse o da dove venisse. Solo si sa che il suo giubbotto è stato recuperato alla deriva nel Mediterraneo Centrale, il 3 luglio 2019, a determinate coordinate geografiche».

«Ho deciso di esporre qui questo giubbotto salvagente, ‘crocifisso’ su questa croce, per ricordarci che dobbiamo tenere aperti gli occhi, tenere aperto il cuore, per ricordare a tutti l’impegno imprescindibile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti», ha spiegato Francesco «Nella tradizione cristiana la croce è simbolo di sofferenza e sacrificio e, al tempo stesso, di redenzione e di salvezza», ha ricordato Francesco incontrando i rifugiati arrivati recentemente da Lesbo con i corridoi umanitari: «Questa croce è trasparente: essa si pone come sfida a guardare con maggiore attenzione e a cercare sempre la verità. La croce è luminescente: vuole rincuorare la nostra fede nella Risurrezione, il trionfo di Cristo sulla morte». «Anche il migrante ignoto, morto con la speranza in una nuova vita, è partecipe di questa vittoria», ha assicurato il Papa: «I soccorritori mi hanno raccontato come stiano imparando l’umanità dalle persone che riescono a salvare. Mi hanno rivelato come in ogni missione riscoprano la bellezza di essere un’unica grande famiglia umana, unita nella fraternità universale».

«Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile?». È il primo di una serie esigente di interrogativi con cui il Papa ha concluso il suo discorso ai rifugiati arrivati recentemente da Lesbo con i corridoi umanitari. «Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli?», ha proseguito Francesco: «Come possiamo ‘passare oltre’, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte?». «La nostra ignavia è peccato!», il monito del Papa: «Ringrazio il Signore per tutti coloro che hanno deciso di non restare indifferenti e si prodigano a soccorrere il malcapitato sulla via verso Gerico, senza farsi troppe domande sul come o sul perché il povero mezzo morto sia finito sulla loro strada».

«Non è bloccando le loro navi che si risolve il problema», la tesi di Francesco: «Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere da parte gli interessi economici perché al centro ci sia la persona, ogni persona, la cui vita e dignità sono preziose agli occhi di Dio. Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo, e il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio».