Vita Chiesa
Papa Francesco a Salesiani: in Italia 40% giovani disoccupati, serve educazione di emergenza
Messo da parte il discorso ufficiale Bergoglio ha iniziato a raccontare delle sue esperienze con i salesiani. «Mio papà – ha raccontato – appena arrivato in Argentina è andato dai salesiani». E diverse figure di salesiani hanno sempre seguito lui e la sua famiglia, in tutti i momenti, anche quelli più difficili, come il salesiano Enrique Pozzoli, che fu guida spirituale della famiglia. Ad esempio la mamma che dopo il quinto parto è rimasta per un anno paralitica e i tre figli più grandi sono stati inviati in collegi salesiani. «Lì ho imparato ad amare tanto la Madonna. I salesiani mi hanno formato alla bellezza, al lavoro, all’affettività. E quello è un cardine proprio di don Bosco, perché con l’amore formava all’affettività. E faceva maturale l’affettività dei ragazzi. Don Bosco era capace di educare all’affettività i ragazzi perché ha avuto una mamma buona, carina, forte che con tanto amore educò il suo cuore. Non si può capire Don Bosco senza mamma Margherita».
Ma anche un altro salesiano ha marcato la vita di Jorge Mario Bergoglio: padre Lorenzo Massa, che nel 1908 formò, con i ragazzi di strada, una squadra di calcio, il San Lorenzo Almagro, «con i colori della Madonna, rosso e blu»: «Per me è la migliore squadra di argentina, tante volte campione!», ha detto il Pontefice, noto tifoso di questa squadra del popolare quartiere Boedo di Buenos Aires. Il salesiano «ha dato una mistica sportiva a quei ragazzi che erano sulla strada – ha sottolineato il papa – oggi ci sono ragazzi che scelgono la droga o cadono nelle dipendenze, tanti si suicidano di angoscia o cadono nelle depressioni: ma bisogna avere la gioia di una cosa che può andare avanti». Come un lavoro o il gioco del calcio.
All’epoca di don Giovanni Bosco, ha proseguito, «a fine dell’ottocento, questa regione dell’Italia era massonica, c’erano mangiapreti, anticlericali, era anche demoniaca, anche demoniaca, Torino è uno dei punti…». «Ma quanti santi sono usciti! quanti santi, fate il conto», ha proseguito, per poi parlare dell’eredità di san Giovanni Bosco.
«Oggi tante cose sono migliorate, c’è il computer.. Ma la situazione della gioventù è più o meno la stessa» dell’epoca di san Giovanni Bosco, a fine ottocento, «e don Bosco cosa ha fatto? – si è chiesto il Papa – Si occupava dei ragazzi senza lavoro e senza studio, dei ragazzi sulla strada, ha rischiato il suo ministero, e per questo tanti hanno sparlato di lui, ‘questi sono di seconda classe non si può fare nulla…’. Oggi siamo in una situazione dove il 40 per cento dei giovani in Italia dai 25 anni in giù sono senza lavoro, né studiano né lavorano, e voi salesiani avete la stessa sfida che ha avuto don Bosco. Prendere questi ragazzi e queste ragazze. Don Bosco cosa faceva? Lo sport, perché lo sport ti porta a essere sociale, a una competitività sana, alla bellezza di lavorare tutti insieme, e poi l’educazione, le scuole salesiane dove si imparava un mestiere. Ma oggi i salesiani sono capaci di formarli in questi mestieri di urgenza?, mi domando, in sei mesi imparare a fare l’elettricista o il gassita, per cavarsela a vivere, una educazione alla misura della crisi? Non pensiamo che questi ragazzi di strada oggi, penso alla mia patria, possono andare a fare il liceo classico o scientifico: diamo loro qualcosa che sia fonte di lavoro, un lavoro piccolo anche, un lavoro che oggi sì domani no, ma un lavoro, aiutarli, dare una educazione di emergenza. Oggi i ragazzi di strada hanno bisogno di educazione di emergenza, imparare in poco tempo un mestiere pratico, poi si vedrà. Questo 40 per cento ha bisogno di qualcosa e la creatività salesiana deve prendere in mano queste sfide di oggi». Insomma, «diamo da mangiare ai ragazzi di strada, è vero, con lo stomaco vuoto non si può lodare Dio, ma promuoverli con questa creatività di educazione a misura della crisi».
Il salesiano è concreto. «I salesiani che non hanno questa concretezza delle cose, gli manca qualcosa». Jorge Mario Bergoglio si è soffermato a lungo sulle missioni dei salesiani in Patagonia («Non sono ossessionato dalla Patagonia», ha spiegato, per sottolineare che era una vocazione dello stesso don Bosco), per sottolineare che «tanto bene hanno fatto i primi salesiani là, forse padre Chavez (Pascual Chávez Villanueva, ex rettore maggiore dei salesiani, ndr.) ricorda quando è venuto da noi per la beatificazione di Zeffirino a Aparecida (Zeffirino Namuncurá Burgos, salesiano argentino, il primo beato indio della America del Sud., ndr.), per cercare dove si farebbe questa beatificazione, e c’era una proposta buona di farla a Buenos Aires così tutti gli ex alunni potevano venire, ma io mi sono opposto: no, si deve fare in Patagonia… Dove non c’era una città, il cardinal Bertone (l’ex segretario di Stato, salesiano, era presenta all’incontro a Torino, ndr.) che ha fatto la beatificazione si ricorda, era in pieno campo, a Chimpay. Ai salesiani che non hanno questa concretezza delle cose – ha proseguito il Papa – manca qualcosa, il salesiano è concreto, vede il problema, pensa come fare e prende in mano. E alla fine ho detto con molta educazione che io come arcivescovo di Buenos Aires non avrei dato il permesso, e lui (Chavez, ndr.) ha deciso bene!». Affacciandosi successivamente all’oratorio dei salesiani, il Papa ha rivolto un breve saluto ai presenti: «Una delle caratteristiche del vero oratoriano – ha sottolineato – è la gioia, un oratoriano con la faccia triste, con la faccia all’aceto non va. Gioia, molta gioia, e con questa gioia amare Gesù, cercare Gesù e lasciarsi cercare da Gesù».