Vita Chiesa

Papa Francesco: a Fondazione Don Gnocchi, «Una società incapace di accogliere ha perso la pietà»

«Non stancatevi di servire gli ultimi sulla frontiera difficile dell’infermità e della disabilità: insieme alle terapie e alle tecniche più avanzate per il corpo, offrite a quanti si rivolgono con fiducia alle vostre strutture le medicine dell’anima, cioè la consolazione e la tenerezza di Dio». È l’incoraggiamento del Papa ai membri della Fondazione Don Carlo Gnocchi ricevuti oggi in udienza nell’Aula Paolo VI dove è stato accolto da affettuosi saluti e calorosi applausi, ha stretto mani e ha accarezzato diversi malati, anche in barella, e baciato e benedetto numerosi bambini. Sullo sfondo un coro di alpini che ha eseguito alcuni canti.

Nel richiamare la premura e la sensibilità sacerdotale del Beato Carlo Gnocchi, Francesco ha definito la Fondazione «un frutto della carità di Cristo» e ha esortato i presenti a «coniugare nella concretezza del quotidiano il servizio sociale e sanitario e l’azione evangelizzatrice», ossa a «combattere con coraggio le cause della sofferenza e curare con amore il disagio delle persone sofferenti o in difficoltà. I tempi sono cambiati rispetto alle origini, ma è necessario andare avanti con il medesimo spirito, con l’atteggiamento e lo stile» del Fondatore. Di fronte ad una mentalità che tende a rifiutare la fragilità e la sofferenza, il Pontefice ha ricordato che «una società che non è capace di accogliere, tutelare e dare speranza ai sofferenti, è una società che ha perso la pietà, che ha perso il senso di umanità. La vasta rete di centri e servizi che avete realizzato in Italia e in altri Paesi rappresenta un buon modello perché cerca di unire assistenza, accoglienza e carità evangelica. In un contesto sociale che favorisce l’efficienza rispetto alla solidarietà, le vostre strutture – ha osservato – sono invece case di speranza, il cui scopo è la protezione, la valorizzazione e il vero bene degli ammalati, dei portatori di handicap, degli anziani».

Competenza e passione: queste le due parole d’ordine richiamate oggi dal Papa nell’udienza. «Il senso e il valore della professione sanitaria e di ogni servizio reso al fratello infermo – ha spiegato Francesco – si manifestano pienamente nella capacità di coniugare competenza e compassione, ambedue insieme». La competenza è frutto di preparazione, esperienza e aggiornamento; «tutto questo è sostenuto da una forte motivazione di servizio al prossimo sofferente, motivazione che nel cristiano è animata dalla carità di Cristo». La competenza, ha proseguito il Papa, «rende credibile la testimonianza dei fedeli laici nei diversi aspetti e ambienti della società» e «ti garantisce anche quando vai controcorrente rispetto alla cultura dominante: nel vostro caso, quando dedicate tempo e risorse alla vita fragile, anche se a qualcuno può sembrare inutile o addirittura indegna di essere vissuta». Ma da sola non basta: per Francesco «la sofferenza dei fratelli chiede di essere condivisa, chiede atteggiamenti e iniziative di compassione. Si tratta di ‘soffrire con’, compatire come Gesù che per amore dell’uomo si è fatto Egli stesso uomo».

Dirigendosi verso l’uscita accompagnato da un coro che scandiva il suo nome, il Papa si è soffermato di nuovo con i malati più gravi tra i quali diversi ragazzi cerebrolesi. Il suo discorso era stato preceduto dal saluto del presidente della Fondazione, don Vincenzo Barbante, e dalla testimonianza e dall’abbraccio commosso di Rocco, 42 anni, di un paesino della Basilicata, gravemente colpito da un ictus, ora ristabilito dopo le cure e la riabilitazione presso la Don Gnocchi.