Papa Francesco
Papa: don Milani, “inquieto e inquietante, fedele al Signore”
Questa mattina il Santo Padre ha ricevuto in udienza i membri del Comitato nazionale per il Centenario della nascita del priore di Barbiana. "La conversione è il cuore di tutta l’esperienza umana e spirituale di don Lorenzo che lo fa credente, prete innamorato della Chiesa, fedele servitore del Vangelo nei poveri"
Un “prete inquieto e inquietante, fedele al Signore e alla sua Chiesa”. Così il Papa, ricevendo in udienza i membri del Comitato Nazionale per il Centenario della nascita di don Lorenzo Milani, ha definito il prete di Barbiana. Anche l’arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori, e membro del Comitato ha partecipato all’udienza.
“L’evento centrale della vita di Don Milani è la sua conversione, non dimentichiamolo”, ha esordito Francesco: “Essa permette di comprendere appieno la sua persona, dapprima nella sua ricerca inquieta e poi, dopo la completa adesione a Cristo, nella sua piena realizzazione”.
Per il Papa, “la conversione è il cuore di tutta l’esperienza umana e spirituale di Don Milani che lo fa credente, prete innamorato della Chiesa, fedele servitore del Vangelo nei poveri”: “Don Lorenzo ha vissuto fino in fondo le Beatitudini evangeliche della povertà e dell’umiltà, lasciando i suoi privilegi borghesi, la sua ricchezza, le sue comodità, la sua cultura elitaria per farsi povero fra i poveri. E da questa scelta non si è mai sentito sminuito, perché sapeva che quella era la sua missione, Barbiana era il suo posto, tanto che, appena arrivato, acquistò lì la sua tomba”. “La scuola è stato l’ambiente in cui operare per un fine grande, uno scopo che andava oltre”, ha raccontato Francesco: “restituire la dignità agli ultimi, il rispetto, la titolarità di diritti e cittadinanza, ma soprattutto il riconoscimento della figliolanza di Dio, che tutti ci comprende”.
“Don Milani è stato testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica, del cambiamento d’epoca in cui l’industrializzazione si affermava sul mondo rurale, quando i contadini e i loro figli dovevano andare a fare gli operai, una condizione che li confinava ancora di più ai margini”, ha osservato il Papa: “Con mente illuminata e cuore aperto Don Lorenzo comprende che anche la scuola pubblica in quel contesto era discriminante per i suoi ragazzi, perché mortificava ed escludeva chi partiva svantaggiato e contribuiva nel tempo a radicare le disuguaglianze. Non era un luogo di promozione sociale, ma di selezione, e non era funzionale all’evangelizzazione, perché l’ingiustizia allontanava i poveri dalla Parola, dal Vangelo, allontanava contadini e operai dalla fede e dalla Chiesa. Allora si interroga su come la Chiesa possa essere significativa e incidere con il suo messaggio perché i poveri non rimangano sempre più indietro. E con saggezza e amore trova la risposta nell’educazione, attraverso il suo modello di scuola, cioè mettere la conoscenza a servizio di quelli che sono gli ultimi per gli altri, i primi per il Vangelo e per lui”.
“Al piccolo gregge di Barbiana, alla sua gente, Don Lorenzo consegna tutta la propria vita, che prima ha consegnato a Cristo”, ha sottolineato il Papa: “Il motto ‘I Care’ non è un generico ‘mi importa’, ma un accorato ‘m’importa di voi’, una dichiarazione esplicita d’amore per la sua piccola comunità; e nello stesso tempo è il messaggio che ha consegnato ai suoi scolari, e che diventa un insegnamento universale. Ci invita a non rimanere indifferenti, a interpretare la realtà, a identificare i nuovi poveri e le nuove povertà; ci invita anche ad avvicinarci a tutti gli esclusi e prenderli a cuore. Ogni cristiano dovrebbe fare in questo la sua parte”.