Vita Chiesa
Papa all’udienza: il Vangelo rispetta i popoli, non si impone
“La critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle, si ripete”. Lo ha sottolineato il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI e dedicata ancora una volta al tema della libertà cristiana. Anche oggi, come ai tempi di San Paolo, ha denunciato Francesco, ci sono i “fondamentalisti” che attaccano per ogni novità. San Paolo, infatti, “dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo la fede che si rende operosa per mezzo della carità”. “I detrattori di Paolo, questi fondamentalisti che erano arrivati lì – ha fatto notare il Papa – lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per piacere a tutti, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa”.
“Accettare che noi siamo stati liberati da Cristo, dalla sua passione, morte e resurrezione, è accettare di portare la pienezza anche nelle diverse tradizioni di ogni popolo”,
ha osservato Francesco, ricordando che per San Paolo “accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo”. “Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, non entra in conflitto con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo”, la tesi del Papa: “Nella chiamata alla libertà scopriamo il vero senso dell’inculturazione del Vangelo: essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture”. “Non è una cosa facile!”, ha ammesso Francesco: “Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile”.
“Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale!”, ha esclamato il Papa, che poi ha aggiunto a braccio: “L’ uniformità come regola di vita non è cristiana: l’unità sì, l’uniformità no”.
“A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista: pensiamo alle guerre”, la denuncia di Francesco: “In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni”. “Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana!”, il monito del Papa, che come esempio positivo ha citato l’opera di evangelizzazione di padre Matteo Ricci in Cina. La libertà cristiana comporta “il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante”, l’indicazione di rotta.
”Parlare di Chiesa cattolica non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani; cattolico è un aggettivo che significa universale: la cattolicità, l’universalità”, ha ribadito Francesco: “Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti”. “La cultura, d’altronde, è per sua stessa natura in continua trasformazione”, l’analisi del Papa: “Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio.
Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni”.
“La libertà della fede cristiana non indica una visione statica della vita, una visione statica della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica della tradizione pure: che cresce, cresce, cresce, ma sempre con la tessa natura”, ha puntualizzato Francesco.
“Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà”,
l’appello finale: “Abbiamo ricevuto un dono da custodire. Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza. È la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà”.