Vita Chiesa
Papa a L’Aquila: messa a Collemaggio, no a “guerre, violenze, ingiustizie”, è tempo di perdono
“Troppe volte si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo”. A denunciarlo è stato il Papa, nell’omelia della Messa presieduta nella basilica di Santa Maria in Collemaggio. “L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”, il monito di Francesco: “Il cristiano sa che la sua vita non è una carriera alla maniera di questo mondo, ma una carriera alla maniera di Cristo, che dirà di sé stesso di essere venuto per servire e non per essere servito”. “Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore”, la tesi del Papa: “Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione, e tutte queste miserie”. “Che L’Aquila sia davvero capitale di perdono, di pace e di riconciliazione!”, l’auspicio finale, attraverso “la consapevolezza della propria miseria e la bellezza della misericordia”.
“Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come ‘colui che fece il gran rifiuto’, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del ‘no’, è stato l’uomo del ‘sì’”. Nell’omelia della Messa presieduta nella basilica di Santa Maria in Collemaggio, il Papa ha rovesciato l’interpretazione tradizionale della figura di Celestino V e ha fatto riferimento alla Perdonanza Celestiniana, la cui 758ma edizione si celebra oggi. “Non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili”, ha spiegato Francesco: “Proprio perché sono tali, gli umili appaiono agli occhi degli uomini deboli e perdenti, ma in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà”. “Nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti”, l’appello del Papa: “L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie. A partire proprio dalle nostre miserie, l’umiltà ci fa distogliere lo sguardo da noi stessi per rivolgerlo a Dio, colui che può tutto e ci ottiene anche quanto da soli non riusciamo ad avere”. “Tutto è possibile per chi crede”, ha assicurato Francesco sulla sorta del Vangelo di Marco: “La forza degli umili è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo, i calcoli”. In questo senso, “Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è misericordia. Questa è il cuore stesso del Vangelo, perché la misericordia è saperci amati nella nostra miseria”. “Non si può capire la misericordia se non capiamo la propria miseria”, ha aggiunto a braccio il Papa.
“Voi avete sofferto molto a causa del terremoto, e come popolo state provando a rialzarvi e a rimettervi in piedi”. È l’omaggio del Papa alla resilienza degli aquilani, nell’omelia della Messa presieduta nella basilica di Santa Maria in Collemaggio. “Ma chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri”, la raccomandazione di Francesco: “Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria”. “Ognuno nella vita, senza per forza vivere un terremoto, può, per così dire, fare esperienza di un terremoto dell’anima, che lo mette in contatto con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria”, ha attualizzato il Papa: “In questa esperienza si può perdere tutto, ma si può anche imparare la vera umiltà. In tali circostanze ci si può lasciar incattivire dalla vita, oppure si può imparare la mitezza. Umiltà e mitezza, allora, sono le caratteristiche di chi ha il compito di custodire e testimoniare la misericordia”.