Italia
Pantani, l’ultimo traguardo
Pantani pedalava come nessuno e prendeva farmaci proibiti come tanti, come (quasi) tutti. Varie ispezioni e controlli, resi possibili da norme più severe, hanno trovato a più riprese vere farmacie viaggianti nelle stanze dei ciclisti, nelle auto delle squadre, nei camper dei familiari. I ciclisti hanno medici e preparatori atletici personali, non tutti dai trascorsi irreprensibili; chi fa vincere un campione, si procura altri clienti. Ci sono ciclisti che pedalano per mesi in fondo al gruppo per «esplodere» in un dato momento della stagione. C’è il crescente numero di decessi improvvisi, inspiegabile in atleti che sono l’immagine della salute. Non solo nel ciclismo.
Una sorta di presagio: diceva che avrebbe potuto non farcela. Nei giorni dei maggiori trionfi – le sequenze televisive di questi giorni l’hanno confermato – più rabbia che gioia, nello sguardo un fondo di tristezza, una piega mesta della bocca nel sorriso.
Preghiamo perché riposi in pace. E speriamo che la sua morte provochi nel mondo del ciclismo un sussulto di dignità, restituendo allo sport significati umani e responsabilità etiche: lealtà, valore e gioia della vita, rifiuto di un successo che costruisce idoli, accettazione della sconfitta. Per vincere e per far soldi non si deve mettere a rischio la salute, non si possono troncare giovani vite.
PANTANI, FUNERALI A CESENATICO. MONS. LANFRANCHI: «IL TRAGUARDO PIÙ IMPORTANTE, IL PARADISO»