Vita Chiesa
Padre Lino, il frate biblista
Fra Lino, dove e quando è nato?
«Sono nato a Tegoleto, in diocesi di Arezzo, il 4 febbraio del 1904 da Pietro e Lucattini Angela, piccoli proprietari, di stretta osservanza cattolica. Al fronte battesimale mi fu dato il nome di Pier Antonio».
La vicinanza al convento francescano di Sargiano influì sulla sua vocazione religiosa?
«Sargiano era un punto di riferimento per tanti frati e numerosi laici. Rappresentava religione e cultura. Si diceva spesso all’amico: Sarai dotto quanto un frate di Sargiano!. All’età di cinque anni, in occasione del perdono d’Assisi, per la prima volta salii a quel convento. Vidi tanti frati di tutte le età. Devo dire che mi fecero un’ottima impressione. Ma non oserei affermare che lì nacque la mia vocazione religiosa. Spesso i frati di Sargiano, quelli questuanti, venivano ospitati in casa dei miei genitori; e poi, per la solennità dell’Assunzione, i Randellini, «ab antiquo», organizzavano una bella festa di famiglia, dove invitavano un cappuccino, un carmelitano e un frate di Sargiano».
E la sua vocazione?
«Oddio! Come faccio a ritenerla tale? Amici e compagni mi ripetevano fino alla noia: Fatti frate! Ti troverai bene e mangerai anche la ciccia. In famiglia si mangiava carne solo una volta alla settimana».
E quando partì per il Collegio Serafico di San Romolo?
«Nel 1914 Diomede Bichi, Valerio Bardelli ed Elia Pieraccini salirono a quel Collegio e anch’io mi unii a loro per studiare, ma non sapevo cosa volesse dire farmi frate. Solo del frate mi piaceva la predicazione. A proposito, ricordo che lungo la strada (5 km) che dalla parrocchia conduceva alla casa paterna, facevo una lunga predica ad alta voce contro la bestemmia e i bestemmiatori. E purtroppo tra questi c’ero anch’io».
Come si trovò nel nuovo ambiente del Collegio?
«Male, molto male. Quando entrai avevo fatto solo la seconda elementare. Devo ringraziare p. Elpidio Perugini che mi aiutò paternamente a recuperare tempo prezioso. Alla fine del V anno di Ginnasio, avevo raggiunto quelli che erano venuti in Collegio più preparati di me».
Dove fece il noviziato?
«Alla Verna, negli anni 191920, dove mi fu assegnato il nome di fra Lino che mi ha accompagnato per tutta la vita. Devo confessare che il noviziato per me non fu una esperienza bella, ma addirittura una crocifissione. Il maestro, P. Isidoro Innocenti, era un sant’uomo, ma non conosceva la pedagogia. E che freddo sul Sacro Monte, un gelido freddo che si doveva affrontare tutti a piedi scalzi! Il noviziato mi offrì l’occasione di conoscere l’arcivescovo di Milano, il beato Card. Andrea Ferrari. Nei quindici giorni di permanenza alla Verna, quotidianamente venne in noviziato trattenendo noi novizi in interessantissimi dialoghi, arricchiti da indimenticabili esempi molto curiosi, che si ascoltavano con viva attenzione».
Quando fu ordinato sacerdote?
«Il 16 aprile 1927, quando ero a Sargiano e fui consacrato nella cappella privata da mons. Emanuele Mignone. Un giorno piovoso! Ed io, sprovvisto d’ombrello, arrivai di fronte al vescovo bagnato come un pulcino. Però fu un giorno indimenticabile per me, felice di avere raggiunto una meta importante della mia vita. Poi fui trasferito al convento di San Bernardino a Sinalunga per frequentare il VI anno di teologia e per prepararmi alla predicazione. Lessi e studiai molti santi Padri, in modo particolare San Giovanni Crisostomo».
Lei fu inviato all’Antoniano di Roma per lo studio della Sacra Scrittura?
«Esattamente. La Provincia della Sacre Stimate aveva bisogno di un insegnante di Sacra Scrittura per gli studenti che erano, allora, assai numerosi».
Fu destinato poi anche a Gerusalemme per ottenere il titolo di Lettore Generale in Sacra Scrittura?
«Sì, studiai alla Flagellazione di Gerusalemme, dove era lo Studio Biblico dell’ordine. Nel 1935 mi decisi di sostenere a Roma un esame micidiale per ottenere il titolo di «Licenziato in Sacra Scrittura» presso il Pontificio Istituto Biblico. L’esame comprendeva la storia dell’Antico e del Nuovo Testamento e la versione immediata dei testi biblici in lingua greca. Inoltre dovetti essere esaminato per la lingua ebraica. Me la passai senza infamia e senza lode insieme a tre preti francesi e ad un frate francescano slavo».
Poi lei rientrò in Toscana?
«Sì, fui assegnato al convento di Sargiano, dove insegnai Sacra Scrittura dal 1934 al 1945».
Quali soddisfazioni le ha dato l’approfondimento della Sacra Scrittura?
«Molto impegno nello studio e grande soddisfazione nell’apprendere una infinità di nozioni».
Perché dalla Toscana passò ad insegnare nello Studio di Teologia a Busto Arsizio, nella Provincia francescana di San Carlo Borromeo?
«Perché quella Provincia aveva bisogno di un insegnante di Sacra Scrittura ed io mi offrii felice di continuare l’insegnamento a cui avevo dedicato i miei anni migliori. A Busto Arsizio insegnai fino al 1961, quando il padre provinciale, Bernardino Serafini, mi richiamò in Toscana. Insegnai Sacra Scrittura fino al 1991 nel seminario di Firenze, poi dichiarato Facoltà Teologica dell’Italia centrale. In seguito mi dedicati all’apostolato spicciolo, quando circa quattro anni fa un ictus mi fermò sulla seggiola a rotelle. Ora mi trovo degente e bene assistito nella casa di riposo S. Francesco a Fiesole, dove ho potuto pregare come non mai. L’ictus mi ha offerto l’occasione di mettere in sintonia la mia vita con la volontà del Signore».
Lei ha realizzato una lunga serie di pubblicazioni. Quale ricorda più volentieri?
«Affezionato a nessun libro, ma il meno peggio credo che sia stato il Commento al Libro delle Cronache. Sento il dovere di ringraziare p. Leonardo Zanelli per la generosa collaborazione ai miei scritti».
Qual’è stato il suo studio più impegnativo nella Sacra Scrittura?
«Certamente quello della sinottica e cioè dei rapporti tra Luca, Matteo e Giovanni».
Cosa volle dire per lei aver studiato in Palestina?
«Per me, come per altri, fu un quinto Vangelo».
Ma ora, a cento anni iniziati, come sta fra Lino?
«Come Dio vuole e per grazia sua voglio anch’io».
Ma lei è felice di aver vissuto una vita intera da francescano?
«Non ho mai avuto problemi di crisi vocazionale. Sono felice di aver abbracciato l’ideale francescano, anche se riconosco ogni giorno più profondamente la mia debolezza nell’essere quello che dovrei essere».
Come vede il mondo dall’altezza dei suoi cento anni?
«Domanda imbarazzante per me. In questi cento anni di vita non sono mai stato né pessimista, né ottimista. Credo di aver compreso cos’è il mondo del Vangelo. E in questo mondo mi sono trovato bene, pur vedendo le insidie di questa società che sento nella mia carne. Purtroppo sono stato un frate tiepido, della tiepidezza di cui parla l’Apocalisse di Giovanni. Però ho una grande fiducia nella Madonna, rifugio dei peccatori, e nella misericordia del Signore, più grande delle mie colpe».
Che cosa vorrà fare ancora nella vita?
«Spero di campare per qualche altro tempo, felice di tuffarmi nella misericordia di Dio».