Dossier

Padre Lanfranco, il cappuccino toscano da mezzo secolo tra gli indù

di Riccardo GalliVive da 52 anni in India e si definisce l’ ultimo frate cappuccino presente in questa terra. Padre Lanfranco Iozzi assiste, assieme ai tanti sacerdoti e missionari presenti nel paese, la comunità cattolica che non arriva al 2% mentre gli induisti sono l’83% ed i musulmani l’11% su quasi un miliardo di abitanti. Eppure non ha ancora perso l’accento della sua terra, Colle Val d’Elsa, in provincia di Siena. Il frate, assai noto nel paese, nonostante lui si schernisca in proposito, non pare minimamente scoraggiato dall’ impresa titanica che si trova a svolgere ogni giorno. Ha 78 anni portati benissimo e sembra uscito da una tavola di Walter Molino per la «Domenica del Corriere»: saio, sandali, barba bianca, occhi lucenti, sguardo sereno e sorridente.

«Ora però – spiega al presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, che lo ha voluto incontrare nell’ambito della sua visita in India – ho paura che non vogliano rinnovarmi il visto perché temono che io faccia conversioni forzate; vi rendete conto?». Il frate corre su e giù per il paese a portare una parola di conforto, ad assistere i lebbrosi e i malati di aids (un flagello che sta crescendo) ed a cercare fondi per aiutare i giovani che ne hanno bisogno. In mezzo secolo ha fatto del bene a tanti.

«Nella mia diocesi a Rampur, nel sud dell’India, a 200 chilometri da Delhi – racconta – “appena” 25 milioni di abitanti, è nato il St. Joseph Hospital, gestito da suore ospedaliere che, aiutate da volontari e medici specializzati, sono davvero una benedizione soprattutto per le donne musulmane che sono restie a farsi visitare dai medici e per i poveri che ricevono così un po’ di attenzione e rispetto».

Ma la situazione per i cattolici, non è facile, «ed occorre pregare molto», ha chiesto il frate in una delle sue periodiche lettere con cui tiene i contatti con gli amici italiani a cui fa visita ogni tre anni. «Oggi essa è ancora più necessaria – ha scritto padre Lanfranco – perché il primo ministro dello stato del Gujrat ha ingiunto a soprintendendenti e magistrati di “fare la lista di tutti i cristiani”; così, se qualcuno vuole praticare la nostra religione, deve dichiarare davanti a loro di farlo di spontanea volontà. Ma coloro che hanno abbracciato la nostra fede, in maggioranza gente che vive modestamente, hanno paura a dichiararlo perché perderebbero quei privilegi che sono concessi ai poveri. Speriamo dunque che questo sistema non si estenda a tutto lo Stato».

Un segnale di ottimismo viene dal numero dei benefattori che contribuiscono al progetto «Borse di studio»: «è aumentato – racconta con un certo orgoglio – così come è cresciuta la loro generosità. E questo è un segno che le preghiere, nostre e dei nostri amici, stanno dando i loro frutti».

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