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P. Jaeger: «La pace fra Israele e l’Olp è l’unica soluzione»
Il rombo dei carri armati israeliani a Gaza; la detenzione di 20 parlamentari di Hamas; la scoperta del cadavere di un colono ucciso in prigionia forzata; i contrasti, anche violenti, che hanno opposto le diverse fazioni palestinesi dimostrano che la speranza di normalità per gli abitanti della Terra Santa passa necessariamente attraverso l’accordo tra israeliani e palestinesi. Un segnale positivo in tale direzione è sembrato l’annuncio dell’accordo tra i palestinesi sul Documento dei prigionieri. Ma, avverte padre David-Maria A. Jaeger, francescano israeliano, da decenni attento osservatore delle vicende politiche e religiose della Terra Santa, esso contiene una potenziale minaccia, in quanto prevede anche l’ingresso dei fondamentalisti di Hamas e Jihad Islamica nell’Olp, che così perderebbe il suo carattere laico, con le conseguenze immaginabili.
Nell’intervista ad AsiaNews, padre Jaeger parla anche dei rapporti tra Israele e Vaticano, ancora offuscati dal mancato adeguamento della legislazione israeliana a quanto previsto dall’Accordo tra Israele e Santa Sede.
Secondo i rapporti di agenzia, l’Accordo nazionale di riconciliazione unirebbe Fatah e Hamas nel riconoscere Israele entro le frontiere precedenti la guerra del 1967, rinunciando ad azioni armate e al terrorismo all’interno di questi confini. Si tratta di una svolta epocale che renderebbe possibile la pace – come dicono alcuni oppure no?
«E’ troppo presto per valutarne accuratamente la portata. Bisognerebbe leggerne attentamente il testo, e ci vorranno ancora almeno alcuni giorni per conoscere cosa dice di preciso il documento, chi vi aderisce e come si intende trattare chi, come Jihad Islamico, sembra di non voler aderirvi. Il documento originale, su cui quest’ultimo accordo si baserebbe, era certamente un passo significativo, che avrebbe aperto nuove prospettive, ma non pare ancora certo che sia stato integralmente accolto quel “documento dei prigionieri”, steso dai militanti delle diverse organizzazioni detenuti nelle carceri israeliane. Rappresentava uno scatto di realismo ed esprimeva l’impazienza di tutti con il perdurare indefinito della situazione attuale. Israele, alquanto sorprendentemente, lo ha bocciato subito, caratterizzandolo una mera “questione interna” delle organizzazioni palestinesi. Il documento, e anche l’annunciato accordo, avrebbero però un elemento alquanto preoccupante, e cioè l’ingresso di Hamas nella compagine dell’Olp, che rischia di alterare profondamente la natura laica del movimento nazionale palestinese, con conseguenze imprevedibili per il futuro Stato palestinese. In ogni caso, in questo momento molto può dipendere dal modo in cui sarà risolto il caso del soldato israeliano catturato da uomini armati palestinesi e detenuto a Gaza. Una risoluzione pacifica, tanto auspicata da tanti, non potrà che giovare, mentre in caso contrario…».
Poco prima dello scoppiare dell’attuale, ennesima crisi a Gaza, è avvenuto l’incontro tra Olmert e Abbas, che promettevano di rivedersi. Considerando assieme agli annunciati sviluppi nella posizione di Hamas, questo rende possibile la ripresa dei colloqui di pace?
«L’incontro, a colazione dal Re Abdallah II di Giordania, è stato un gesto di cortesia. Non è dato ancora a conoscere l’o.d.g. del futuro incontro, anche se è probabile che debba trattare di problemi correnti, contingenti. Incontrarsi è sempre un fatto positivo. Questi incontri non esauriscono, però, le speranze delle due Nazioni, e di tutto il mondo civile,che puntano invece alla ripresa, non di “colloqui” qualsiasi, ma di formali negoziati di pace, miranti alla firma di un vero e proprio trattato di pace tra Israele e Palestina, che ponga fine al sanguinoso conflitto pluridecennale, e assicuri ad entrambe le Nazioni interessate la libertà e la sicurezza, in condizioni di eguale dignità, e con pari opportunità per prosperare nella Terra Santa, patria di ciascuna. In questa prospettiva, “Hamas” non ha per ora importanza, siccome esso non “gestisce” altro che l'”Autorità palestinese”, che è un meccanismo temporaneo nato per amministrare alcune parti dei Territori Occupati in attesa del trattato di pace. Negoziare questo trattato è invece di competenza esclusiva dell’Olp, riconosciuto dal mondo arabo, ma anche dal resto del mondo, e – sin dal 1993 – persino da Israele, come l’autorevole rappresentanza a livello internazionale del Popolo palestinese. E che il sig. Mahmoud Abbas (Abu-Mazen) è il Presidente dell’Olp è il fattore determinante, non il suo essere in aggiunta per ora anche il Presidente dell'”Autorità palestinese”. Il tempo stringe, perchè è probabile che l’Olp sia fra poco costretto ad ammettere anche Hamas – e forse persino “Jihad Islamico” (!) – tra i suoi membri, accanto ad al-Fatah (dall’inizio, il partito laico dominante) e ai partiti laici minori. Qualora questo avvenga, non solo i negoziati di pace, ma anche – e soprattutto – la costruzione successiva di uno Stato laico e democratico negli ex-territori occupati diventerebbe molto, ma molto più difficile (anche se certo non meno doveroso ed urgente). In questo momento, e chissà quanto tempo ancora, ci sarebbe ancora la possibilità di negoziare e firmare la pace con l’Olp attuale, che se “riporterà a casa” tale realizzazione si assicurerà il pieno appoggio della stragrande maggioranza dei palestinesi nei territori occupati. Ma l’avvio di tali negoziati dovrebbe essere annunciato ora, tra giorni, per scongiurare lo snaturamento dell’Olp laico, con tutte le conseguenze che esso comporterebbe».
Dopo la vittoria di Hamas, Usa ed Europa hanno sospeso gli aiuti al governo palestinese. Ma di fronte alla drammatica situazione della popolazione, da più parti, compreso il Papa, si chiede di aiutare il popolo palestinese. É possibile farlo senza rafforzare il fondamentalismo di Hamas?
«Si tratta di una questione piuttosto “tecnica” – come costruire e far funzionare il meccanismo necessario – ma di questo l’Unione Europea, Usa e Banca Mondiale si stanno occupando da qualche tempo e ora pare che tutto sia già pronto, o quasi. Ma si tratta anche di una questione di valori, e di soppesarli assieme agli obiettivi che si vorrebbero raggiungere: quante difficoltà si riterrebbe di dover imporre alla popolazione pur di rovesciare il governo, e a quale punto l’obiettivo politico (esautorare l’attuale governo dell’Ap) deve cedere il passo alle preoccupazioni umanitarie. In ogni caso, queste sono sempre comunque tutte questioni solo contingenti – anche se certo gravi ed urgenti – che rischiano pure di assorbire tutta l’attenzione e distogliere lo sguardo dal vero obiettivo, che solo rappresenterebbe la soluzione: il trattato di pace. Questo, in fin di conti, è l’unico modo di frenare l’avanzata del “fondamentalismo di Hamas”, che, in assenza di un trattato di pace (che desse libertà, dignità e sicurezza ai palestinesi) sembra destinato a continuare il suo pauroso percorso».
Benedetto XVI, parlando alla Roaco, ha chiesto di aiutare i cristiani a rimanere in Terra Santa. L’unico ministro cristiano del governo di Hamas si è dimesso. Qual è l’attuale situazione dei cristiani, stretti come sembrano tra islamici ed israeliani? E cosa si può concretamente fare?
«Nei Territori Occupati, i palestinesi di religione cristiana condividono necessariamente la sorte dei loro connazionali (musulmani), oltre a dover sopportare, all’interno di questo quadro generale, ulteriori inconvenienti dovuti alla loro condizione di esigua minoranza in circostanze di insicurezza generalizzata. Grandi risorse e notevoli energie vengono lodevolmente impiegate da tanti organismi ecclesiali per venir incontro alle loro necessità, nell’intento pure di aiutarli a perseverare nella terra degli avi, e a resistere alla tentazione sempre più forte di emigrare. Ma l’unica cosa veramente capace di cambiare fondamentalmente la situazione in cui essi si trovano sarebbe, dicasi ancora una volta, il trattato di pace. Solo esso creerebbe le condizioni necessarie perchè la collettività cristiana nei Territori Occupati, buona fetta della parte centrale della Terra Santa, possa sentirsi sicura e avere fiducia nelle sue prospettive future. Il più grande atto di carità verso questa comunità sarebbe perciò precisamente questo, promuovere veri negoziati di pace, far firmare il trattato di pace».
La stampa israeliana ha riportato che il ministro del turismo incontrando il nuovo nunzio ha parlato anche della preparazione del viaggio di Benedetto XVI in Israele, l’anno prossimo, visto anche come mezzo di promozione del turismo religioso. In Vaticano si osserva che difficilmente la visita si potrà fare se Israele non avrà recepito l’Accordo fondamentale e firmato quelli in esso previsti. A che punto è la situazione? E quali le prospettive?