Quando parla del popolo siriano usa il pronome plurale «noi» perché è il compagno di vita a cui è rimasta fedele da 52 anni. Pur essendo toscana, originaria di Lucca, Arcangela Orsetti, della Congregazione delle suore di san Giuseppe dell’Apparizione, vive da una vita ad Aleppo, dove con le sue consorelle gestisce l’ospedale Saint Louis. La religiosa non ha mai abbandonato la sua gente, neppure durante i dieci anni di guerra che ha messo in ginocchio la Siria. In quanto straniere, le suore avevano la possibilità di lasciare il Paese, «come del resto la nostra superiora ci aveva chiesto. Ma all’unanimità – racconta suor Arcangela – abbiamo deciso di rimanere, nonostante le minacce, i pericoli, la paura, i sacrifici, per essere solidali con chi soffriva e con chi, in quel momento più che mai, aveva bisogno del nostro aiuto. Essere rimaste durante tutto il periodo del conflitto è stata una forte testimonianza per la popolazione. Musulmani e cristiani non smettono ancora oggi di ringraziarci, dicendoci: “La vostra presenza è stata e continua a essere per noi una forza, una speranza, un conforto”. Ma noi abbiamo messo semplicemente in pratica le parole di Gesù: “Non c’è amore più grande che donare la vita per coloro che amiamo”. E noi amiamo questo popolo, dove Lui ci ha mandato per servire e per donare tutto quello che abbiamo».Il desiderio di trasformare il male in bene, durante la guerra suor Arcangela l’ha manifestato anche costruendo simboli di pace e vita con frammenti di odio e di morte. «Ogni mattina – racconta la missionaria – andavo sulla terrazza dell’ospedale a raccogliere le pallottole che i nostri “amici” seminavano nella notte. Nello stesso tempo ringraziavo il Signore perché non avevano ferito nessuno». Poi «il Signore mi ha ispirato l’idea di trasformare questi oggetti di morte, in simboli di vita. Ed ecco che il lavoro di creatività è cresciuto in me, cominciando con il realizzare un rosario, poi delle croci, poi i candelabri e tante altre creazioni che esprimessero la pace». Il personale di servizio dell’ospedale, vedendo quello che la suora aveva cominciato a costruire, quando al mattino andava al lavoro raccoglieva per strada le pallottole per la missionaria che, nelle notti in cui non trovava sonno, continuava a creare. «È stato un lavoro realizzato nella preghiera, perché a ogni proiettile che sistemavo domandavo al Signore di donarci la pace e di convertire il cuore di chi voleva ferirci o ucciderci. Ma l’amore del Signore è stato più forte di ogni cattiveria, violenza, odio. A Lui va la nostra gratitudine ogni volta che vediamo queste creazioni. Anche diversi musulmani mi hanno chiesto di fare per loro una croce, per ringraziare Dio che siamo sopravvissuti», confessa suor Arcangela.Senza dubbio la gioia di essere ancora vivi non è venuta meno, ma purtroppo adesso la situazione è ancora più disastrosa: «La gente rimpiange il tempo delle bombe, che considera “più sopportabile” di quello di oggi. Oggi la guerra non è quella delle armi, ma è molto più devastante e grave: è la guerra della fame, dell’accattonaggio, della corruzione, della penuria, della disoccupazione e dell’inflazione della moneta che aumenta di giorno in giorno. Le sanzioni in vigore da 11 anni stanno uccidendo lentamente la popolazione. I cassonetti nelle strade sono diventati una fonte di cibo per i poveri. Ed è molto triste vedere il personale del nostro ospedale così affamato da finire spesso i vassoi dei malati, fenomeni impensabili prima della guerra».Alla mancanza di cibo, si aggiunge quella di elettricità, gasolio, benzina. «E dire che la Siria è ricca di petrolio, gas, grano e cereali, ma è espropriata dei suoi beni e oggi vive nella miseria», conclude la missionaria.Anche la situazione sanitaria è drammatica: ammalarsi è diventato un dramma a causa della carenza di farmaci e del loro costo elevato. A tutto questo, di recente, si è aggiunto anche il colera: secondo il ministero della Salute siriano, ha già causato 39 morti e colpito più di 10mila persone.