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Operazione «Mare Nostrum»: un drone per amico…
Detto in altre parole, i droni, gli aerei senza pilota, serviranno a individuare le barche cariche d’immigrati dirette sulle coste italiane, senza affondarle… E già perché i droni vengono abitualmente usati anche in aree di guerra come Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Pakistan, per monitorare, scovare e, laddove necessario, colpire i terroristi, vedi Osama Bin Laden o molti militanti di Al Qaeda. Purtroppo non senza qualche effetto collaterale (leggasi tante vittime civili innocenti).
Da parte sua il ministro si è affrettato a ricordare – anche giustamente – che questi mezzi sofisticati «vengono da tempo utilizzati anche per usi civili» e, pertanto, il loro impiego nell’operazione «non prevede l’uso di dispositivi armati».
Mentre negli angoli più nascosti del pianeta infuria la guerra a colpi di drone contro il terrorismo globale, nel «Mare Nostrum» altri droni cercano di evitare tragedie come quella di Lampedusa. Droni buoni e droni cattivi, allora? O sarebbe meglio parlare di uso corretto del mezzo? In fondo non è una novità che molta della tecnologia militare viene poi impiegata con successo in ambito civile.
Ed è quello che vedremo, ancora una volta, a partire dal 18 ottobre, quando l’operazione «Mare Nostrum» prenderà il via. Sei navi della Marina militare, «ognuna con equipaggi da 80 fino a 250 uomini e con elicotteri a lungo raggio», avranno il compito umanitario di salvare vite umane e di garantire sicurezza, dovendo anche identificare «le navi madri usate dagli scafisti». Questa «riconversione umanitaria» dell’uso di mezzi e risorse militari, tuttavia, non deve servire a giustificare inutili spese militari e soprattutto ad allungare i tempi di leggi giuste, necessarie a garantire i diritti di chi fugge da regimi dittatoriali, dalla fame, dal sottosviluppo, senza derogare alla legalità.