Italia
Opera La Pira, diario del pellegrinaggio in Terra Santa
A farci comprendere la realtà è la perquisizione all’aeroporto di Francoforte, dove il grosso del gruppo si ricongiunge: ci stiamo imbarcando per Israele, le misure di sicurezza appaiono fin da qui molto severe. Viaggiamo su un enorme 747, il viaggio in pieno giorno è uno spettacolo di panorami e di luce. Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv: il controllo dei passaporti è macchinoso ed a tratti irritante. Il primo intoppo: mancano diverse valigie, che ci verranno recapitate il giorno seguente; conosciamo i nostri autisti, entrambi arabi cristiani. Qui è praticamente estate.
Finalmente Gerusalemme: Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore! Ora i miei piedi si fermano davanti a te, Gerusalemme!
Ore 18, entriamo nella Basilica del Santo Sepolcro. Nella cappella dell’Apparizione a Maria ci attende già Mons. Pietro Sambi, Nunzio apostolico in Israele: celebriamo la S. Messa nel giorno anniversario della morte del prof. La Pira qui, nel luogo della Resurrezione. In fondo tutte le ipotesi di lavoro di La Pira partono dal fatto materiale della Resurrezione di Cristo (i veri materialisti siamo noi che crediamo nella Resurrezione di Cristo!), punto centrale e finale della storia dell’umanità. Il Nunzio traccia un ritratto appassionato e profondo del professore. Ceniamo insieme; dopocena un momento di incontro, anche se la stanchezza comincia ad essere tanta. Ma basta iniziare e comprendiamo di avere davanti una persona di valore non solo per il ruolo che ricopre. La testimonianza del Nunzio è molto bella (e molto poco diplomatica: il clima è quello di un incontro fra amici e per nulla formale) ed è in presa diretta sugli avvenimenti del giorno: ci illustra la posizione di Israele, dei palestinesi e l’azione della Santa Sede; dà una sua lettura dei fatti. Ci esprime due preoccupazioni: per i giovani che qui, più che annunziare la primavera, paiono oggi attratti dagli estremismi, su entrambi i fronti. La seconda riguarda l’atteggiamento delle due parti: ambedue guardano al futuro e non manifestano un interesse sostanziale a risolvere il conflitto in atto, poiché sperano di essere in grado, per motivi opposti, di imporre domani la pace all’altro. Il dramma quindi è che nessuno lavora per realizzare la pace oggi. Avevamo iniziato illustrando i motivi del nostro viaggio: ci incoraggia. Spes contra spem!
L’accesso ai territori è davvero blindato. Improvvisamente un uomo viene verso di noi e districando i pullman nell’ingorgo inverosimile che si è creato ci apre la strada verso il posto di frontiera: i soldati si spostano, passiamo senza neppure un controllo. Più tardi sapremo da padre Ibrahim che la nostra entrata è stata oggetto di quattro giorni di trattativa con le autorità militari: l’ultima telefonata con il via libera è arrivata proprio mentre eravamo in attesa.
Entriamo nei territori, ci sono tantissimi bambini che a vanno a scuola. E’ sotto nostri occhi una delle più forti preoccupazioni di Israele: la crescita demografica dei palestinesi. Al Terra Sancta College ci attende Padre Ibrahim. E’ la scuola dei padri francescani: mille bambini e ragazzi, di cui un quarto musulmani, tutti ugualmente aiutati a costruire un futuro di dignità in questa situazione per certi aspetti terribile. Ci spiega che per le bambine c’è un istituto analogo, sempre di queste dimensioni, tenuto dalle suore. Visitiamo la varie classi: è una meraviglia, un vero miracolo per la situazione in cui si trovano ad operare. La scuola è molto grande. In alcune classi gli studenti (da tre a diciotto anni) ci salutano cantando; è un tripudio di sorrisi.
Celebriamo la S. Messa di Natale a Santa Caterina. Da lì scendiamo nella grotta della Natività. La stella del luogo della nascita, la mangiatoia: tutto nasce da lì. E’ un’emozione fortissima, la preghiera si fa intensa. Siamo praticamente soli con i monaci ortodossi.
Ripartiamo ed è nuovamente un problema uscire dai territori. Dopo un’ora e quaranta minuti di coda esasperante alla frontiera (pensiamo a coloro che devono affrontarla tutti i giorni ), arriviamo al posto di blocco: un soldato armato di tutto punto, non contento delle spiegazioni dell’autista, sale sul pulmann per controllare. E’ giovanissimo, nei suoi occhi c’è forse anche un velo di paura. Tre anni di servizio di leva in queste condizioni, il terrore dietro l’angolo. Sventoliamo i passaporti, non si addentra, controlla solo quello di don Angelo. Si scioglie e sorride: italians! Scende e saluta noi e l’altro pullman.
Rientriamo a Gerusalemme. Prima della città, sul bordo della strada vediamo qualche decina di palestinesi in attesa di entrare sotto il controllo della polizia. Ci viene spiegato che è la norma: ore ed ore di attesa.
Verso il Muro Occidentale (il Muro del Pianto): ci fermiamo al tramonto lungo le mura davanti al Monte degli Ulivi: dai minareti risuona il richiamo alla preghiera dei muezzin. Entriamo al muro. Preghiamo anche noi mescolati agli ebrei ortodossi. E’ un luogo sacro e si avverte. Contempliamo il mistero di Dio.
Usciamo e più in alto, verso il quartiere ebraico, ammiriamo, è ormai notte, il Muro illuminato e la cupola dorata della Moschea di Omar in tutto il suo splendore. E’ l’unico Dio.
E’ il momento dell’omaggio al popolo di Israele. Prima andiamo alla tomba di Rabin, sulla collina degli eroi: è l’omaggio ad un giusto. Poi a Yad VaShem, memoriale di Israele. Percorriamo il viale dei giusti fino alla Hall of name. La fiaccola brucia sopra al pavimento con i nomi di tutti luoghi dello sterminio: Treblinka, Sobibor, Auchswitz sei milioni di morti. Poi al memoriale dei bambini ed è un esperienza che non dimenticheremo: buio completo e dappertutto candele accese come tante piccole stelle. In sottofondo il battito del cuore che ogni tanto si interrompe. Diverse voci si alternano leggendo i nomi di tutti i bambini sterminati: è un elenco con un milione e mezzo di nomi.
Nel pomeriggio entriamo nel deserto della Giudea (ci fermiamo a Wadi Qelt, in un punto panoramico, e leggiamo le parole di Mosè, dei profeti e dei salmi: l’esperienza di silenzio è indimenticabile). Lungo la valle del Giordano vediamo Gerico, città attualmente isolata. Eccoci a Nazareth e l’accoglienza è cordialissima. Subito l’incontro con il Sindaco, arabo cristiano. Siamo qui nel nome di La Pira per l’unità della famiglia di Abramo. Risponde a lungo in modo appassionato e non di circostanza. Ci invita ad essere operatori di pace, a sperare anche se i tempi sono difficili. Arriva il Vescovo Marcuzzo, che cena con noi. E’ un personaggio di una energia incredibile. Lo incontriamo più a lungo dopo cena ed anche con lui l’incontro non è di circostanza. Ci dice che la nostra presenza vuol dire che la pace è possibile. Non è una cosa scontata. Ci dice chiaramente che qui l’ingiustizia perdura. Che finchè perdura, senza che ai palestinesi vengano riconosciuti i loro diritti, non vi sarà mai la pace. Che senza l’aiuto della comunità internazionale ciò non sarà mai possibile. Concludiamo cantando e mangiando insieme mandorle (simbolo di fedeltà, nel libro di Geremia la fedeltà all’Alleanza) e fichi secchi (simbolo dell’amore per la Parola di Dio, nella Bibbia e nel Talmud).
La Chiesa del primato di Pietro: è il luogo della fedeltà e dell’inizio. Tocchiamo il lago, su cui si riflette il sole. Tabgha, festa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci. S. Messa solenne celebrata dal Patriarca Sabbah. Ci saluta ringraziandoci di essere venuti: ci incoraggia a credere che la pace è possibile nonostante tutto. Spes contra spem.
Attraversiamo in battello il lago di Tiberiade: ci fermiamo in mezzo al lago e leggiamo il Vangelo: Gesù cammina sulle acque. Il lago è anche abbastanza mosso. Il vento soffia un po’. E’ davvero un momento di grande raccoglimento. Scendiamo a Tiberiade ed è un altro mondo: musica assordante. E’ sabato ed è festa, ma qui molto laica. E’ solo un attimo, saliamo al Tabor accompagnati da tassisti beduini un po’ agitati. Siamo ormai al tramonto ed hanno fretta: sta per finire l’astinenza ed il digiuno imposto dal Ramadan. Leggiamo l’episodio della Trasfigurazione. E’ ormai sera e fa freddo.
Torniamo a Nazareth: nonostante l’ora i frati francescani ci aprono le porte della Basilica dell’Annunciazione. Ci accoglie padre Samir: ci mostra su un lato del loggiato una lapide con un bassorilievo di La Pira. E’ stato collocato da qualche settimana. Ci dice: siete a casa vostra! Recitiamo il rosario davanti alla grotta, preghiamo per la pace. A cena sono con noi un gruppo di giovani arabi cristiani accompagnati da un padre salesiano; conosciamo le difficoltà e le storie di questi ragazzi. Dopo cena incontro e grande festa insieme: basta davvero poco per fare amicizia. In fondo è solo un arrivederci: anche qui lanciamo il nostro invito ad un incontro in Italia!
La stanchezza di questi giorni intensissimi comincia a farsi sentire; ci si rilassa un po’ a firmare le cartoline per tutti gli amici rimasti in Italia. Ne scriviamo 460! Si ride, si è contenti: alla fine anche padre Daniele, responsabile del Casa Nova, a cui in questi giorni abbiamo fatto letteralmente girar la testa, si scioglie e sorride.
Visitiamo la casa di San Giuseppe e poi, attraverso il mercato vecchio, il luogo della sinagoga dei tempi di Gesù. Anche lì leggiamo il Vangelo: Gesù che annuncia a tutti che la profezia si è avverata.
Si parte e piove: è una benedizione per questa terra, non piove da aprile. Passiamo dal Monte Carmelo, sostiamo sul mare presso le rovine di Cesarea Marittima, dove pranziamo.
Si arriva Firenze e ci si saluta: è un grazie reciproco, intenso e profondo, frutto di una esperienza autentica.