Benedetto XVI
Omelia nella Messa della Notte di Natale
Il testo integrale dell’omelia pronunciata in italiano da Benedetto XVI, durante la solenne Messa della Notte Natale, celebrata in San Pietro.
Cari fratelli e sorelle!
Abbiamo appena ascoltato nel Vangelo la parola che gli Angeli, nella Notte santa, hanno detto ai pastori e che ora la Chiesa grida a noi: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,11s). Niente di meraviglioso, niente di straordinario, niente di magnifico viene dato come segno ai pastori. Vedranno soltanto un bambino avvolto in fasce che, come tutti i bambini, ha bisogno delle cure materne; un bambino che è nato in una stalla e perciò giace non in una culla, ma in una mangiatoia. Il segno di Dio è il bambino nel suo bisogno di aiuto e nella sua povertà. Soltanto col cuore i pastori potranno vedere che in questo bambino è diventata realtà la promessa del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità” (Is 9,5). Anche a noi non è stato dato un segno diverso. L’angelo di Dio, mediante il messaggio del Vangelo, invita anche noi ad incamminarci col cuore per vedere il bambino che giace nella mangiatoia.
Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà impariamo a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l’umiltà della rinuncia che fa parte dell’essenza dell’amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo. I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia che anche Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is 10,23; Rom 9,28). I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso è la Parola, il Logos
Con ciò siamo arrivati al secondo significato che i Padri hanno trovato nella frase: “Dio ha abbreviato la sua Parola”. La Parola che Dio ci comunica nei libri della Sacra Scrittura era, nel corso dei tempi, diventata lunga. Lunga e complicata non solo per la gente semplice ed analfabeta, ma addirittura ancora di più per i conoscitori della Sacra Scrittura, per i dotti che, chiaramente, s’impigliavano nei particolari e nei rispettivi problemi, non riuscendo quasi più a trovare una visione d’insieme. Gesù ha “reso breve” la Parola ci ha fatto rivedere la sua più profonda semplicità e unità. Tutto ciò che ci insegnano la Legge e i profeti è riassunto dice nella parola: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37-40). Questo è tutto l’intera fede si risolve in quest’unico atto d’amore che abbraccia Dio e gli uomini. Ma subito riemergono delle domande: Come possiamo amare Dio con tutta la nostra mente, se stentiamo a trovarlo con la nostra capacità mentale? Come amarLo con tutto il nostro cuore e la nostra anima, se questo cuore arriva ad intravederLo solo da lontano e percepisce tante cose contraddittorie nel mondo che velano il suo volto davanti a noi? A questo punto i due modi in cui Dio ha “fatto breve” la sua Parola s’incontrano. Egli non è più lontano. Non è più sconosciuto. Non è più irraggiungibile per il nostro cuore. Si è fatto bambino per noi e ha dileguato con ciò ogni ambiguità. Si è fatto nostro prossimo, ristabilendo in tal modo anche l’immagine dell’uomo che, spesso, ci appare così poco amabile. Dio, per noi, si è fatto dono. Ha donato se stesso. Si prende tempo per noi. Egli, l’Eterno che è al di sopra del tempo, ha assunto il tempo, ha tratto in alto il nostro tempo presso di sé. Natale è diventato la festa dei doni per imitare Dio che ha donato se stesso a noi. Lasciamo che il nostro cuore, la nostra anima e la nostra mente siano toccati da questo fatto! Tra i tanti doni che compriamo e riceviamo non dimentichiamo il vero dono: di donarci a vicenda qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il nostro tempo. Di aprire il nostro tempo per Dio. Così si scioglie l’agitazione. Così nasce la gioia, così si crea la festa. E ricordiamo nei banchetti festivi di questi giorni la parola del Signore: “Quando offri un banchetto, non invitare quanti ti inviteranno a loro volta, ma invita quanti non sono invitati da nessuno e non sono in grado di invitare te” (cfr Lc 14,12-14). E questo significa, appunto, anche: Quando tu per Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta, ti fanno regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono darti niente in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo banchetto di nozze che non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia ricevere. Imitiamolo! Amiamo Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per riscoprire poi, a partire dagli uomini, Dio in modo nuovo!
Così si schiude infine ancora un terzo significato dell’affermazione sulla Parola diventata “breve” e “piccola”. Ai pastori era stato detto che avrebbero trovato il bambino in una mangiatoia per gli animali, che erano i veri abitanti della stalla. Leggendo Isaia (1,3), i Padri hanno dedotto che presso la mangiatoia di Betlemme c’erano un bue e un asino. Al contempo hanno interpretato il testo nel senso che in ciò vi sarebbe un simbolo dei giudei e dei pagani quindi dell’umanità intera i quali abbisognano, gli uni e gli altri a modo loro, di un salvatore: di quel Dio che si è fatto bambino. L’uomo, per vivere, ha bisogno del pane, del frutto della terra e del suo lavoro. Ma non vive di solo pane. Ha bisogno di nutrimento per la sua anima: ha bisogno di un senso che riempia la sua vita. Così, per i Padri, la mangiatoia degli animali è diventata il simbolo dell’altare, sul quale giace il Pane che è Cristo stesso: il vero cibo per i nostri cuori. E vediamo ancora una volta, come Egli si sia fatto piccolo: nell’umile apparenza dell’ostia, di un pezzettino di pane, Egli ci dona se stesso.
Di tutto ciò parla il segno che fu dato ai pastori e che vien dato a noi: il bambino che ci è stato donato; il bambino in cui Dio si è fatto piccolo per noi. Preghiamo il Signore di donarci la grazia di guardare in questa notte il presepe con la semplicità dei pastori per ricevere così la gioia con la quale essi tornarono a casa (cfr Lc 2,20). Preghiamolo di darci l’umiltà e la fede con cui san Giuseppe guardò il bambino che Maria aveva concepito dallo Spirito Santo. Preghiamo che ci doni di guardarlo con quell’amore, con cui Maria l’ha osservato. E preghiamo che così la luce, che i pastori videro, illumini anche noi e che si compia in tutto il mondo ciò che gli angeli cantarono in quella notte: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Amen!