La strage degli innocentiQuest’anno non possiamo distogliere la nostra attenzione su quanto ha provocato, in noi e in tutto il mondo, un’ondata di orrore e di grande sofferenza.La strage degli innocenti, che ha segnato anche l’esperienza drammatica di Maria e di Giuseppe rendendoli profughi ed immigrati in terra straniera, si è ripetuta sotto i nostri occhi, ha invaso in questi giorni attraverso l’impietoso occhio della televisione non solo le nostre case, ma anche e soprattutto i nostri cuori e li ha sconvolti.Di fronte all’abisso senza fondo della violenza e della cattiveria umana, di fronte alla catena di ingiustizie e di vendette che essa porta con sé, potremmo cedere alla tentazione di chiuderci in un silenzio inorridito: le parole anche più belle e profonde ci sembrano sproporzionate alla gravità della manifestazione del male in queste forme estreme.Invece bisogna riflettere per evitare di chiudersi in sterili emozioni, inevitabilmente passeggere, e per cercare di trarre anche dalla scena desolante di queste lunghe file di piccoli cadaveri un motivo di conversione del cuore e un invito alla speranza.La punta di un icebergVoglio tentare di comunicarvi, a questo scopo, tre brevi considerazioni. Hanno calcolato che ogni giorno nel mondo sono più di cinquecento i bambini che perdono la vita in conseguenza di guerre e di atti di terrorismo. Ed è certamente un numero incalcolabile quello dei bambini che ogni giorno muoiono a motivo di malattie e denutrizione nei paesi attraversati da gravi conflitti o segnati dal sottosviluppo. Non vogliamo che l’indignazione e il dolore di questi giorni sia ipocrita o, peggio ancora, produca soltanto odio e risentimento verso la barbarie degli assassini. Dobbiamo quindi considerare quanto è avvenuto in Ossezia come la punta di un iceberg, che non nasconde la vastità del fenomeno, ma al contrario rivela ai nostri occhi la presenza di un male molto più diffuso che richiede a tutti noi un impegno molto più vasto e costante, molto più concreto e intelligente di quello che può consumarsi nel breve tempo di una candela accesa.Capire le radici del maleUna seconda considerazione, conseguenza di questa prima: vano sarebbe battersi il petto ed elevare preghiere di suffragio, se non accompagnassimo questo gesti, pur doverosi e importanti, con lo sforzo di capire quali possono essere le radici del male nella storia del mondo. Anche di questo male. Scoprendo che tali radici sono più vicine a noi di quanto non avremmo sospettato: nel nostro egoismo, nella violenza che abita anche le nostre case e le nostra città, nella facilità con cui dimentichiamo le atrocità di ieri e dell’altro ieri pronti ad archiviare anche quella che sta oggi davanti ai nostri occhi, nella fretta che ci fa passare oltre quando sulla nostra strada giace un pezzo di umanità segnata dall’angoscia e dal dolore. Bisogna riflettere e andare al fondo dei problemi; bisogna continuare ad interrogarci e cercare tenacemente delle risposte. E, avendo raggiunto una lettura più profonda delle ragioni di tanto male, di là ripartire, con senso di responsabilità e con il coraggio di assumersi il compito della paziente costruzione della giustizia e della pace, costi quel che costi. Non avrebbe senso piangere centinaia di piccole vita stroncate dall’odio e dalla furia cieca del terrorismo se questo non ci facesse sentire quanto mai urgente il nostro apporto alla causa sempre trascurata dei piccoli e dei poveri, degli indifesi e degli smarriti.Amare i nemiciE così arriviamo alla terza considerazione: mi è capitato di avvertire tra le tante voci di questi giorni da un lato una sbrigativa richiesta di vendetta e dall’altro qualche accento di rassegnazione e di fatalismo. Il nostro animo facilmente oscilla tra queste due ingenuità, tra questi due errori: la presunzione di vedere sbrigato l’affare con la proporzionata punizione dei colpevoli, e la disperazione di fronte ad una malvagità che, si dice, nessuno può estirpare dal mondo. Davanti ad una manifestazione del male così pesante e radicale possiamo essere trascinati nella spirale dell’odio e della vendetta oppure ci si può lasciar cadere le braccia. Il dolore delle piccole vittime della scuola di Belsan e dei loro genitori merita qualcosa di diverso. Merita che il loro inconsapevole e innocente sacrificio susciti una nuova speranza fondata sulla crescita della solidarietà, del perdono e dell’amore fattivo e solidale. Questo miracolo può nascere in occasione della sofferenza e del male, così come è nato dalla Croce di Cristo. In quella Croce si fonda la speranza di un popolo che non viene chiamato a rispondere al male con il male, ma è invitato ad amare i nemici, a pregare per quelli che lo perseguitano, a benedire quelli che lo maledicono, a impegnare tutte le proprie energie nell’opera della riconciliazione e della pace.La comunità cristiana, insieme a tutte le donne e agli uomini il cui cuore è toccato misteriosamente dalla giustizia di Dio, risponde così all’orrore della sofferenza innocente.Così, a questo orrore, risponde la giovane vita di suor Carolina che tra pochi istanti metterà la sua esistenza e il suo destino, in modo solenne e definitivo, nelle mani del Signore Gesù perché il suo Spirito la trasformi in un dono senza sconti e senza rimpianti ai piccoli e ai poveri. Perché anche attraverso la sua vita si realizzi la costruzione paziente di un mondo migliore e di un’umanità capace di camminare, nonostante tutto, sulla via della speranza e della pace.