Opinioni & Commenti
Olocausto, quello strano accanimento su Pio XII
La Chiesa di allora non negava il ritorno dei bambini con i loro genitori qualora ne avessero fatto richiesta. Più semplicemente non consegnava i ragazzi alle organizzazioni ebraiche che volevano trasferirli in Palestina. Senza entrare qui nel merito della questione (che andrebbe meglio indagata e circoscritta in sede storica anche perché le disposizioni romane vietavano il battesimo dei poveri sventurati e il numero dei bambini ebrei battezzati dovrebbe quindi essere estremamente limitato), quel che interessa immediatamente sul piano giornalistico non è ovviamente il «colpo» della pubblicazione di un documento, ma la mitragliata di articoli che gli hanno fatto seguito con una cadenza così fitta da far temere l’istituzionalizzazione del tema in una rubrica fissa «Il Vaticano e la Shoah».
La pubblicazione di una notizia è un dovere professionale. Il fuoco di fila dei commenti e degli interventi è di fatto una campagna professata. Ora vorremmo credere che la nota grande passione per la storia del neodirettore Paolo Mieli basti a giustificare la dedica al tema di tante colonne del giornale. Altrimenti dovremmo pensare, anche se non lo vogliamo credere, intenzioni alla lunga molto più concrete che talvolta traspariscono in casi simili come quella di influire sulla beatificazione di papa Pacelli o di screditare un papa che fu duro oppositore del comunismo. Ma in questo caso chi di storia è appassionato sa benissimo che il metodo di accusare di filonazismo tutti coloro che non erano comunisti fu applicato con grande profitto da Stalin.
È vero che è inevitabile tornare e ritornare continuamente a parlare dell’Olocausto anche per cercare responsabilità al di là degli autori materiali in peccati di connivenza, di omertà o anche solo di omissione. Lo sterminio di sei milioni di ebrei ci appare un evento così mostruoso e così riuscito, così intollerabile e così nei fatti permesso che ci è quasi impossibile caricarlo tutto intero sulle spalle di Hitler e del nazismo. E tuttavia se questa passione di verità e di disintossicazione definitiva del male assoluto deve continuare ad esercitarsi anche a costo di giudizi ingiusti o solo impietosi è lecito domandarsi anche perché ormai da quarant’anni, con libri e giornali, con cinema e teatro, l’accanimento quasi monomaniacale è solo nei confronti di un papa che pure riuscì a mettere in salvo ottocentomila ebrei?
Perché, ad esempio, non domandarsi, come mai anche Roosevelt e Churchill, che pure erano già stati informati fin dal 1942 dell’esistenza dei campi di sterminio, trovarono le bombe necessarie ad uccidere in un solo giorno centomila persone a Dresda e non una sola bomba per interrompere la ferrovia che portava ad Auschwitz? Perché non ricordare che anche Stalin non volle nemmeno che si parlasse dello sterminio degli ebrei perché voleva che vittime del nazismo fossero solo i comunisti? Perché Mitterand che pure in gioventù era stato razzista e simpatizzante di quel regime di Vichy che deportò settantamila ebrei potè diventare più tardi impunemente il campione della sinistra francese? Perché la Svizzera «terra d’asilo» anche per rivoluzionari e terroristi, chiuse le porte in faccia agli ebrei in fuga e aprì le sue cassaforti all’oro rubato agli ebrei? Perché la stessa Croce Rossa pur sapendo finse di non aver visto, di non aver sentito, di non aver saputo? Perché dimenticare che qualcuno è riuscito ad accusare di attendismo rispetto al dramma la stessa Agenzia ebraica che si occupava soprattutto della Palestina? Almeno per «par condicio» non sarebbe male tornare a dedicare un po’ di spazio anche a questi temi che pure sono storia, prima di riprendere a parlare di Pio XII, seppure con una ormai stanca ripetizione degli stessi argomenti sempre rintuzzati e sempre riproposti.