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Olimpiadi, toscani da record
Ubriacandoci con i numeri si potrebbe scoprire che nella nostra regione si è vinto una medaglia all’incirca ogni 220 mila abitanti. Mantenendo questo rapporto popolazione-medaglie gli Stati Uniti avrebbero dovuto portare a casa più di un migliaio (ne hanno vinte «appena» un centinaio), la Cina addirittura più di 4 mila.
Numeri, supposizioni, puri esercizi mentali senza nessuna velleità sociologica e scientifica, ma che riescono a chiarire con smaccata crudezza la portata dell’impresa degli atleti toscani.
Ma dove sta il segreto di questo exploit? «Nessun segreto ci dà la sua versione il fiorentino Andrea Benelli, incredibile oro nel tiro a volo che scoviamo, a nemmeno tre giorni dalla chiusura delle Olimpiadi, a sparare al campo di tiro . Abbiamo vinto le medaglie in discipline che nella nostra regione hanno grossa tradizione. Il risultato è indubbiamente importante ma è bene far presente che da noi nella scherma, nel ciclismo, e nel tiro le discipline dalle quali provengono la maggior parte delle medaglie toscane esistono da tempo grandi maestri». Benelli sembra trasferire il suo irreprensibile aplomb di gara, che gli fa centrare piattelli con la facilità di chi mangia patatine, anche nella valutazione delle medaglie toscane. 13 medaglie? Facile come colpire un piattello. «Beh, non proprio corregge il tiro Benelli in realtà credo che i toscani sappiano tirar fuori il meglio di sé quando ci sono condizioni ambientali particolari. Ad Atene, la terra genitrice delle Olimpiadi, le motivazioni si sono moltiplicate automaticamente».
A letto, con una febbre che è il segno più tangibile della fatica che ha affrontato per agguantare la terza medaglia in 3 Olimpiadi, ci risponde anche la grossetana Alessandra Sensini (bronzo ad Atlanta 1996, oro a Sidney 2000, bronzo ad Atene 2004 nella vela classe Mistral): «Per me un segreto nei toscani esiste dice con convinzione è il nostro carattere duro ma genuino, una qualità che nello sport funziona molta bene». E poi aggiunge un’altra componente da non sottovalutare: «La Toscana gode di una posizione geografica invidiabile: essendo al centro dell’Italia usufruisce di un clima ottimo che permette la pratica delle più svariate discipline sportive».
Chiamiamolo «pugnace spirito agonistico». Vengono a mente gli incredibili urli dopo ogni stoccata dell’altro livornese Aldo Montano, autore di un autentico capolavoro sportivo, che ha rinnovato la tradizione olimpionica familiare, con un oro individuale e un argento a squadre nella sciabola.
E proprio a Livorno sembra sgorgare una vena aurifera sportiva che, in questa Olimpiade, non ha pari in Italia. Un vero e proprio Pozzo di San Patrizio. «Sinceramente non ce lo aspettavamo neanche noi confessa Gino Calderini, presidente del CONI provinciale di Livorno . Nutrivamo grandi speranze sui ragazzi che avrebbero partecipato alle Olimpiadi, ma mai avremmo pensato di raggiungere questi risultati. Soprattutto la prima giornata di gare è stato un vero momento di gloria per la nostra città: le prime due medaglie d’oro italiane sono proprio state vinte da due livornesi». Già, Paolo Bettini e Aldo Montano, vincitori con la sponsorizzazione dell’illustre concittadino Carlo Azeglio Ciampi. Che il segreto dei livornesi stia tutto nella vampata di orgoglio che contagia ogni livornese nel vedere un suo concittadino sulla poltrona più alta dello Stato? Può darsi. Ma non solo. Anche qui i numeri vengono in soccorso e parlano di una città che ha lo sport nel suo dna. Una statistica di qualche tempo fa parlava di Livorno come la decima città del mondo per numero di medaglie vinte dai propri atleti in competizioni internazionali, ed inoltre è la seconda città d’Italia per numero di impianti sportivi in rapporto alla popolazione. Allora le 6 medaglie della provincia di Livorno forse non sono proprio un caso: 1 medaglia ogni 54.000 abitanti. Con questo rapporto gli Stati Uniti avrebbero dovuto raggiungere 5.365 medaglie
Lo schermidore pisano non era in buone condizioni fisiche, vittima di un guaio muscolare accusato nei quarti di finale e ha dovuto penare più del previsto vedendosi rimontare sette punti dal cinese Dong da 42 a 35 fino al 42 pari. A quel punto Simone Vanni è salito in pedana a incoraggiare l’amico Toti. Poi uno scaramantico cambio di fioretto («Mi portava sfortuna, era lo stesso con cui avevo perso la finale individuale» ammetterà a fine gara) e tre stoccate in rapidissima successione che hanno deciso la finale.
Certo non si tratta di una sorpresa, i nostri avevano già vinto il Mondiale all’Avana l’anno scorso battendo ancora la Cina in finale, ma l’oro olimpico (che l’Italia non vinceva a squadre da venti anni) è la conferma di una scuola pisana guidata dalla famiglia Di Ciolo, il padre Antonio e il figlio Enrico, che già conquistò l’oro otto anni fa ad Atlanta con Alessandro Puccini, anche lui pisano.
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