Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Ogni giorno testimoniamo la chiamata alla santità».

Per molti nostri cristiani il 2 febbraio si va in chiesa per prendere una candela benedetta perché è la festa della candelora. Una tradizione che rischia di far dimenticare che in questo giorno si ricorda la presentazione di Gesù al tempio quando Maria e Giuseppe, obbedienti alla prescrizioni della Legge, offrono il loro primogenito al Signore. Tra tanti bambini, il vecchio Simeone, mosso dallo Spirito Santo, riconosce Gesù e lo riconosce come salvezza, preparata davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria di Israele. I primogeniti secondo la legge di Israele erano sacri a Dio e perciò la festa della presentazione è da 15 anni la festa della vita consacrata: in tutte le diocesi i consacrati si riuniscono per rinnovare i loro impegni religiosi e tutta la Chiesa rende grazie al Padre per il dono della vita consacrata. Così è accaduto anche ad Arezzo lo scorso 2 febbraio. Purtroppo questa festa sembra essere solo una festa nostra: la candelina attira di più. E poi essendo un giorno feriale, difficilmente si può andare in Cattedrale a far festa. Ma cosa sarebbe stata la Chiesa senza questo dono? Senza Benedetto, Scolastica, Francesco e Chiara, Domenico e Caterina, Margherita da Cortona, Ignazio da Loyola e Angela Merici, Giovanni Bosco. La geografia dei nostri territori è segnata dalla presenza di monasteri, abbazie e conventi che sono stati gli avamposti della presenza della Chiesa fra i poveri, gli ammalati, non credenti, fra bambini, giovani e anziani, nel mondo dell’educazione e della cultura, promuovendo la giustizia e la dignità della persona. Ognuno di noi ha presente nella propria memoria la figura di un frate, di un religioso o di una suora che nel bene o nel male (e di questo dobbiamo chiedere perdono) hanno segnato la nostra vita. Ma cosa ci stanno a fare i religiosi nella Chiesa? A cosa serve la vita consacrata? Per rispondere a queste domande bisogna spostarsi dal campo del fare a quello dell’essere. La vita consacrata appartiene intimamente alla vita, alla santità, alla missione della Chiesa. Noi ci siamo per ricordare a tutto il popolo di Dio la meta del suo pellegrinaggio cioè l’unione con il Figlio di Dio l’infinita bellezza che sola può appagare la vita dell’uomo (Giovanni Paolo II). La vita consacrata costituisce un efficace rimando a quell’orizzonte escatologico di cui ogni uomo ha bisogno per poter orientare le proprie scelte e decisioni di vita (Benedetto XVI). Con la nostra vita povera, obbediente e casta, radicata nella consacrazione battesimale, ci siamo per ricordare il primato di Dio e la comune vocazione alla santità. Abbiamo risposto e ogni giorno cerchiamo di rispondere con un sì totale a Dio che ci ha amato per primo e che vogliamo amare con cuore indiviso, lasciando tutto per seguire suo Figlio Gesù Cristo per rendere la nostra vita sempre più conforme e aderente alla sua. Oggi la vita consacrata, soprattutto da noi, conosce la fragilità dovuta all’invecchiamento e alle poche vocazioni che si traduce in chiusure di comunità. Ma conosce anche una nuova primavera: Dio non ha smesso di chiamare e le risposte ci sono, spesso danno origini a forme e modalità nuove di vita consacrata. Lo Spirito Santo è un grande «creativo» e non smette di creare. Siamo di meno, contiamo di meno e volte non siamo nemmeno conosciuti, ma ciò non ci impedisce di continuare ad essere segno e testimoni di Cristo nel mondo. Riprendendo e concludendo i lavori del Sinodo dei vescovi dedicato alla vita consacrata, Giovanni Paolo II scriveva che essa è confessio Trinitatis: i consigli evangelici di povertà, obbedienza e castità sono espressione dell’amore che il Figlio porta al Padre nell’unita dello Spirito Santo. Ad immagine della Trinità le comunità dei religiosi formate da persone di età e culture diverse sono è signum fraternitatis per un mondo segnato da divisioni e individualismo.suor Annalisa Bini Domenicana a Ganghereto